La Svizzera è a quota dodici medaglie, ben oltre le aspettative di Swiss Olympic. Quante perle a ridosso della Festa Nazionale, onorata come del resto merita
La medaglia olimpica numero 200 dello sport rossocrociato, altamente simbolica, è al collo di Jérémy Desplanches. È un segno, forse, che l’abbia vinta un campione del nuoto, ispirando l’impresa di Noè Ponti, straordinario bronzo nei 100 delfino. Nel frattempo, però, la Svizzera ne ha conquistate altri, di allori. Siamo a quota dodici – nove dei quali in ambito femminile –, ben oltre le aspettative di Swiss Olympic che ne “chiedeva” sette. Il ritmo è quello dei Giochi invernali, storicamente più legati alla tradizione sportiva elvetica e a discipline quali lo sci alpino e quello acrobatico.
A Tokyo (339 competizioni), per la prima volta la Svizzera ha superato quota dieci che resisteva da Helsinki 1952 (14 podi, per 149 titoli in palio e 6’500 atleti a contenderseli). Da allora, il bottino più pingue fu a Sydney (un oro, sei argenti e due bronzi, 11’000 atleti di 200 Paesi). Sette, per contro, le medaglie portate a casa da Rio 2016.
I Giochi estivi hanno altre regole e, solitamente, altri protagonisti. Tra di essi, stavolta, figurano gli atleti rossocrociati, fedele testimonianza di una cultura sportiva elvetica che sfrutta la ribalta olimpica per svelare tutta la qualità alla quale lavora sottotraccia – fatta eccezione per le discipline di maggiore visibilità –, salvo trovare sfogo nella rassegna che per la sua stessa natura è deputata a esaltare sport definiti sommariamente “minori”, che di minore hanno solo l’impatto mediatico.
Se da un lato è vero che fino a qualche stagione fa le strutture e l’impostazione anche “ideologica” della Confederazione non era concepita per favorire la carriera dello sportivo d’élite e il professionismo, da molto tempo ormai la svolta intrapresa e abbracciata in maniera corale anche a livello politico volge a favore dello sviluppo dello sport, partendo dalla “banale” attività motoria per la salute, su su fino alle eccellenze che rappresentano i colori nazionali nelle più prestigiose competizioni internazionali e nei grandi eventi. Nei quali – Tokyo insegna – i risultati non si sono fatti attendere. Frutto di un lavoro alla base – quindi su capisaldi e principi cardine della socialità quali la scuola e la formazione – e sulle strutture da mettere a disposizione dei talenti, dei quali la Svizzera è comunque storicamente ricca.
Così, quasi a voler ripagare un Paese che tanto ha investito nello sport, gli atleti con la croce rossa sul petto con l’ambizione di vedersi dedicata un’esecuzione del Salmo svizzero hanno pensato bene di “dar di matto” il 31 luglio, così da potersi concedere una festa l’indomani, il 1° Agosto, una volta metabolizzata e commentata la rispettiva impresa. Il bronzo di Noè Ponti nel nuoto, la doppietta elvetica nella finale dei 100 femminile con Ajla Del Ponte (quinta) e Mujinga Kambundji (sesta), l’oro strepitoso di Belinda Bencic nel tennis (argento nel doppio con Viktorika Golubic), quello straordinario di Nina Christen nel tiro, il bronzo di Nikita Ducarroz nella Bmx sono la prova di quanto florido sia il movimento sportivo nazionale. Concentrare tanti successi a ridosso del 1° Agosto è un bellissimo modo di ricordare che “Quando bionda aurora il mattin c’indora” ed è ora di dare il via alla festa che “all’Elvezia serba ognor”.