Nadal, Federer, Djokovic e lo spettacolo del superamento dei limiti. Una caccia a vittorie e record che è sfida contro il tempo e l’invecchiamento umano
Due giorni dopo la vittoria al Roland Garros vediamo Rafael Nadal scendere da un’automobile con le stampelle per andare a svolgere dei controlli medici. È un’immagine potente: com’è possibile che un’atleta professionista di 35 anni sia arrivato al punto di non riuscire più a camminare sulle proprie gambe?
Nelle due settimane precedenti Nadal aveva giocato il Roland Garros con un piede addormentato. Dall’inizio della sua carriera convive con una malattia degenerativa allo scafoide tarsale del piede sinistro. Si chiama "sindrome di Müller-Weiss" e quando non era ancora maggiorenne lo aveva portato vicino al ritiro e all’inizio di una nuova carriera nel golf (a quanto pare Nadal è molto portato anche sul green). Grazie a una suola speciale del suo sponsor, e alla sua leggendaria forza di volontà, Nadal è riuscito comunque a costruirsi una carriera eccezionale. Ma stiamo parlando di una malattia degenerativa e negli ultimi anni i giorni senza dolore si stanno facendo rari. Sempre più spesso Nadal deve ritirarsi dal circuito, mettere il piede a maggese, assentarsi per lunghi periodi in cui compaiono sue foto con le stampelle e le rassicurazioni ai suoi tifosi: «Devo solo riposarmi». Prima della semifinale del Roland Garros si era detto pronto ad accettare un patto col diavolo: la finale per un piede nuovo. Poi, il giorno della finale, si sono diffuse, nate chissà dove, infondate voci di ritiro a fine partita. La convocazione di una conferenza stampa irrituale, Federer che addirittura parte verso Parigi per assistere. Tutto si è rivelato falso, ma le condizioni fisiche di Nadal lo avevano reso verosimile. Una parte di noi, addirittura, lo aveva sperato.
In campo sono sempre più frequenti le giornate in cui il dolore di Nadal sembra bucare lo schermo. La fatica con cui muove quel corpo un tempo straordinario – uno dei più eccezionali corpi dello sport contemporaneo – il servizio che rallenta, le grida dopo i colpi che contengono una nota di dolore. L’elaborato movimento con cui prepara e colpisce il dritto – uno dei più eccezionali dritti della storia – sembra all’improvviso uno spreco di energie, la palla muore a rete come lanciando un fazzoletto appallottolato. È uno spettacolo duro da guardare: l’eccezionalità che si spegne, l’invecchiamento umano davanti ai nostri occhi. Eppure lo guardiamo perché Nadal ci ha abituato a improvvise resurrezioni. Il dritto che riacquisisce forza, i movimenti di nuovo fluidi, la palla che fila. La morte e il ritorno alla vita nell’arco della stessa partita: l’inesauribile capacità di Nadal di resistere, di adattarsi e attraversare il dolore per arrivare alla forma più pura del suo tennis penitenziale.
È un tipo di narrazione che Nadal ha portato a esasperazione, dandole le tinte oscure dei martiri religiosi, ma che è parte importante della storia dei big-3 del tennis in generale. La narrazione, cioè, della loro longevità oltre ogni aspettativa, del ritorno alla vittoria proprio nel momento in cui tutti li danno per spacciati, in cui le carriere dei comuni mortali sono finite da un pezzo.
Il primo era stato Roger Federer nel 2017. A 36 anni, con il primo infortunio grave della sua vita, la prima operazione al ginocchio, la sua carriera sembrava onestamente finita. Partecipava a eventi di beneficenza con le stampelle, faceva gite in bicicletta con i figli dopo le quali il ginocchio si gonfiava e lui si chiedeva se sarebbe prima o poi tornato sano. Al primo Slam dal suo ritorno, agli Australian Open, invece, Roger Federer ha vinto, battendo proprio Nadal in una delle loro sfide più epiche e inaugurando una nuova età aurea di vittorie, che gli porteranno l’ottavo Wimbledon e un’altra vittoria a Melbourne.
Del ritiro di Federer si parla da almeno 10 anni, da quando ne aveva appena 30, nel 2011, e stava attraversando una piccola crisi di risultati. Era una crisi relativa alla sua grandezza, certo, ma per qualcuno avrebbe dovuto ritirarsi, per lasciare intatto il ricordo del suo splendore. Oggi ci sembra un ragionamento assurdo, ma non lo era: Becker si è ritirato a 32 anni, Sampras a 31, Edberg a 30. Erano i tempi fisiologici di una carriera nel tennis. Ancora prima si è iniziato a parlare di un possibile ritiro di Nadal, per motivi medici ovviamente. Si diceva che col suo gioco non sarebbe mai arrivato a 25 anni integro. Nel 2013, pochi mesi dopo il suo infortunio al ginocchio, il New York Times pubblica un video in cui Nadal gioca a tennis attraverso il filtro di una radiografia: è un’accurata analisi di come l’insieme dei suoi movimenti imponga delle sollecitazioni intollerabili al proprio corpo. Il succo è che Nadal ha i giorni contati: non si può giocare a tennis facendo a pezzi il proprio corpo senza subirne a un certo punto le conseguenze.
Di Novak Djokovic non si è invece mai parlato esplicitamente di ritiro, anche se nel 2017, dopo i problemi al gomito, uniti a una bizzarra crisi spirituale, c’erano grossi dubbi sul fatto che potesse tornare a dominare il circuito.
Siamo nel 2022 e nessuno dei tre si è ancora ufficialmente ritirato. Sommando le loro bacheche hanno vinto 63 Slam. Dal 2003 l’81% complessivo di quelli disputati. Non smettono di vincere: dei tre Slam giocati finora quest’anno, Nadal ne ha vinti due e Djokovic uno. Il loro tramonto è iniziato dieci anni fa, e ha allungato la sua ombra sul tennis fino a oggi, assumendo tinte spesso enigmatiche e difficili da leggere. Mentre persino il calcio sembra essersi lasciato alle spalle la diarchia Ronaldo-Messi, l’epoca dei big-3 del tennis sembra inesauribile. La loro grandezza si è alimentata soprattutto di queste vittorie colte nel momento in cui tutti li considerano finiti. Vecchi leoni che continuano a battere i tennisti più giovani, ricacciandone indietro ambizioni e sogni di gloria, dimostrando di volta in volta la purezza della loro superiorità.
Dal loro avvento il tennis è stato soprattutto questo: lo spettacolo del superamento dei limiti. Lo è tutto lo sport contemporaneo, nell’epoca dell’ossessione per i record, ma il tennis dei big-3 mette in scena il superamento dei limiti in modo radicale. Nel loro gioco, certo, ma anche nella ricerca dei record e nella sfida contro il tempo e l’invecchiamento umano. La lotta dell’uomo contro i limiti crescenti del proprio corpo. Federer e Nadal in modo evidente, giocando sopra il dolore e gli infortuni, cercando di tornare più forti dopo ogni operazione chirurgica. Djokovic in modo più sottile, arrivando a un livello di cura ossessiva per il proprio corpo e della propria mente. Ogni anno si ripetono le stesse ritualità: Djokovic che mangia l’erba di Wimbledon dopo la vittoria, Nadal che alza le braccia al cielo dopo la vittoria al Roland Garros, mentre aspettiamo il ritorno di Federer sperando sia un tantino migliore del precedente. Ogni anno questo spettacolo della loro resistenza e della perpetuazione del loro successo, però, si fa più stanco e logoro, perde di potenza nella sua ripetizione.
L’ultima edizione di Wimbledon è stata particolarmente feroce, lo spettacolo della catena alimentare come abbiamo imparato a conoscerla negli ultimi due decenni di tennis. Il ventenne Jannik Sinner che, in vantaggio di due set, subisce il ritorno furioso del vecchio leone Novak Djokovic. Il paradosso dell’anziano che col passare della partita guadagna energie mentre il giovane si stanca. Nadal, invece, nei quarti di finale contro Taylor Fritz ha giocato quasi tutta la partita con uno strappo addominale di 7 millimetri. Ha tirato sempre due seconde di servizio, si è mosso con crescente fatica, eppure ha vinto, contro un avversario confuso sulla strategia migliore da adottare contro una sfinge: un giocatore evidentemente infortunato, ma così talentuoso da essere migliore di lui pur infortunato. Uno spettacolo talmente assurdo che il giorno dopo non tutti hanno creduto alla veridicità dei problemi fisici di Nadal, finché non si è ritirato dal torneo.
L’esibizione del dominio dei big-3, che nei loro anni d’oro avevano reso naturale, la conseguenza diretta del loro genio, oggi appare sempre più faticosa. Nessuno però ha intenzione di mollare. Novak Djokovic non vuole vaccinarsi, e per questo potrebbe saltare Us Open e Australian Open. Rischiamo di rivederlo in campo al Roland Garros 2023, avrà 37 anni. Roger Federer nel 2021, dopo una seconda operazione al ginocchio, ha tentato di replicare la magia del 2017, ma ha finito per schiantarsi contro Hubert Hurkacz ai quarti di Wimbledon. Dopo l’annuncio di una terza operazione la sua carriera sembrava finita, ma a sorpresa Federer ha precisato che vuole tornare a giocare, a più di 40 anni. Tornerà per la Laver Cup a settembre, e per il torneo di Basilea a ottobre. C’è chi sospetta sia l’occasione ideale per un ritiro romantico, nonostante abbia più volte annunciato l’intenzione di ritornare in campo anche nel 2023.
Nadal giocherà invece già agli Us Open, dove cercherà di vincere il suo terzo Slam dell’anno. Durante la partita con Fritz, mentre in campo sembrava dover scontare una penitenza divina, suo padre dagli spalti gli ha chiesto di ritirarsi. Lui non gli ha dato retta. Il giorno dopo Marca ha titolato: «Lasciami giocare un poco ancora, papà». Un titolo romantico, ma anche un po’ penoso, rispetto a cui la sensazione era simile a quella che avevamo durante la partita: ammirazione, sì, ma anche un certo distacco, la sensazione che si sia andati un pochino oltre. Marca ha anche definito la vittoria "eroica". Del resto lo sport esiste anche per questo, per creare uno spazio teatrale in cui l’uomo può provare a mettere in scena l’esperienza del limite. Siamo una cultura che celebra in modo morboso la dedizione, la performatività, la resistenza a ogni condizione, e lo sport offre uno spettacolo privilegiato per l’esibizione delle nostre ideologie. Nadal però sembra aver esasperato questa ricerca fino all’autodistruzione, creando uno spettacolo straniante in cui il tennis è diventato uno sport estremo, in cui si arriva al successo solo attraverso il dolore.
Le sue foto con le stampelle, che ormai stanno diventando un topos visivo del nostro immaginario, lanciano un messaggio chiaro: mostrano un corpo fatto a pezzi, sacrificato in favore degli appassionati sportivi. Nadal ci sta dicendo che è disposto anche a superare l’ultimo limite per vincere, quello della salute personale. Noi siamo sicuri, però, che vogliamo guardarlo mentre lo fa?