Con l’Open d’Australia entra nel vivo la stagione 2024 con l’incognita Nadal, l’obiettivo Grande Slam di Djokovic e la rivalità fra Sinner, Alcaraz e Rune
Rafael Nadal non sarà agli Australian Open. È rientrato a Brisbane, ha giocato e vinto due partite, si è issato fino a tre match point contro Thompson e, dopo averli falliti, si è via via accasciato, sconfitto dall’età, dagli acciacchi, e da un dolore alla stessa anca che ha dovuto operare mesi fa. Nell’anno in cui è rimasto fermo ha ammesso di aver pensato al ritiro, per poi decidere di tornare perché la sua carriera merita un finale diverso.
Una prospettiva delirante, storica, di sé stessi, che solo i più grandi possono permettersi. Durante la partita Nadal, con il medico al fianco, era una maschera di sofferenza: i capelli sempre più radi dietro la bandana da pirata, il volto scavato in un’espressione di dolore da dipinto espressionista. Dopo ha annunciato il ritiro dal primo Slam dell’anno, ritardando le proprie ambizioni di vittoria.
È uno dei temi di questo 2024 tennistico: una stagione che si preannuncia di grande scontro generazionale fra i due giganti dell’era passata, Djokovic e Nadal, e due fenomeni dell’era futura, Alcaraz e Sinner. Tra le due generazioni ci sono più di quindici anni di differenza e il loro confronto pare un paradosso: una specie di abominio della storia, che però ci offre l’occasione di un confronto diretto fra tennisti che avrebbero dovuto appartenere a due immaginari storici differenti.
Da una parte i grandi vecchi che non vogliono mollare, animati da un fuoco competitivo eterno, che sembra poter sopravvivere a ogni logoramento del corpo; dall’altra i giovani che dal confronto con questi vecchi cercano di imparare alcune regole profonde del tennis – che poco hanno a che fare coi dritti e i rovesci, e tanto con i labirinti della mente. Lo sport, come sempre, ci mette di fronte lo spettacolo crudele di corpi che perdono forza e devono fare i conti con altri che invece crescono e arrivano al massimo del loro splendore.
Nonostante la rinuncia agli Australian Open, il rientro di Nadal resta uno dei temi della stagione – quello più romantico ed epico. La sua presenza tematizza molte cose: il ritorno del vecchio leone, il conflitto tra un campione e il tempo che passa, e soprattutto tra un uomo e il proprio corpo, sempre più rotto, pieno di acciacchi e medicinali, in sciopero contro la folle corsa competitiva a cui lo vuole costringere il suo proprietario.
Nadal è stato diretto: «È difficile per il corpo giocare i tornei ai massimi livelli. Quando le cose diventano più difficili non sai mai come può reagire il tuo corpo». Come se ormai il corpo umano e il tennis d’alto livello fossero due cose inconciliabili. Del resto ogni anno il tema degli infortuni è sempre più presente; prodotto di un calendario troppo denso, palline troppo variabili e superfici troppo dure. Ogni settimana è un bollettino di guerra. «Nessun tennista gioca mai al 100%» chiarisce Taylor Fritz.
Nessuno però ha spinto il suo corpo ai limiti come Nadal, che già nell’epica cavalcata della stagione 2022 ha mescolato crudelmente gloria e dolore, epica sportiva e malattia, con match sempre più gloriosi, ma di una gloria morente da generale che combatte mentre la sua sorte è già segnata. Per qualcuno non c’è da stupirsi del forfait agli Australian Open: routine preparatoria per il vero obiettivo stagionale, il quindicesimo Roland Garros.
Nel fortino d’argilla rossa, nella molle primavera europea, Nadal può ancora essere il miglior tennista al mondo. Nessuno conosce meglio di lui le sottili strategie della terra, dove si gioca un tennis di testa e logoramento. A Nadal il tennis contemporaneo non piace, «non c’è strategia, vince chi tira più forte», e il suo ritorno allora si giocherà sul rosso, dove il suo acume strategico può ancora fare la differenza. Il suo corpo gli permetterà un finale davvero diverso?
Nel 2024 Novak Djokovic inseguirà l’obiettivo che ha fisso nella testa da ormai qualche anno: vincere tutti gli Slam in cui partecipa e ottenere il più difficile record che esiste nel tennis, quello del Calendar Slam. L’unico record che ancora non detiene, e che gli permetterebbe di staccarsi in maniera netta da Federer e Nadal nei libri di storia. È stato esplicito: gioca per la storia, e per accumulare più record possibili. Aumentare il numero di settimane al numero uno della classifica, spostare più in là il record di Slam vinti da un maschio. E poi gioca per il piacere di giocare. Si poteva pensare che con i suoi rivali storici fuori dai giochi, le motivazioni di Nole si sarebbero spente.
Nel 2023 però le sfide con Sinner e soprattutto Alcaraz sembrano averlo ringiovanito, nutrendo il suo spirito da competitore nato. Lo abbiamo visto dalla determinazione folle con cui ha battuto Alcaraz nella finale di Cincinnati – per vendicare la sconfitta di Wimbledon.
Eppure anche Djokovic dovrà fare i conti col tempo, che gioca a suo sfavore e a favore dei suoi avversari, che nel 2023 hanno cominciato a batterlo e che vorranno ripetersi nel nuovo anno. La programmazione sarà ridotta all’osso, e focalizzata solo sugli Slam, e sia a Parigi che a Londra partirà favorito. Una resa dei conti wagneriana con Nadal al Roland Garros è qualcosa che ogni appassionato si augura – e forse lui più di tutti. Sulle superfici veloci, invece, dovrà guardarsi dalla crescita di Medvedev, Sinner, Alcaraz e Rune, che hanno già dimostrato di poterne minacciare il dominio.
Lo scorso anno Djokovic ha vinto 3 Slam su 4 ed è andato a pochi dettagli dal vincere anche Wimbledon. È sempre il tennista da battere, e starà agli altri crescere e instillargli il dubbio che sì, il tempo passa anche per lui.
Carlos Alcaraz e Jannik Sinner si sono affrontati 7 volte: 4 vittorie per l’italiano e 3 per lo spagnolo. Sinner ha vinto gli ultimi due confronti sul duro e nell’ultimo anno sembra aver accorciato il gap che lo separa da Alcaraz. Non tanto nei confronti diretti, quanto nel suo livello competitivo. Alcuni difetti tecnici sono stati limati, e la sua tempra mentale e tattica è più forte che mai. C’è un numero che racconta la crescita di Sinner; da ottobre ha vinto 20 delle 22 partite giocate.
Nel mezzo ha trionfato in due tornei, ha alzato una Coppa Davis, ed è arrivato in finale alle Atp Finals. Cosa più importante, ha sconfitto avversari che fino a quel momento lo avevano sempre battuto: Medvedev, Rune e soprattutto Djokovic. Fino alla prima metà del 2023 sembrava mancargli qualcosa per puntare al bersaglio grosso, ma ora Sinner c’è.
L’unica cosa più attesa di Sinner sono le partite tra lui e Alcaraz. I due non si sono affrontati in uno Slam nel 2023, ma i dieci set a cui hanno dato vita nel 2022 – tra Wimbledon e Us Open –, con una vittoria a testa, restano impressi nella memoria collettiva.
La storia del tennis si scrive nella rivalità, perché il tennis è uno sport individuale ma è uno spettacolo di coppia, e lo spettacolo che riescono a generare Sinner e Alcaraz quando condividono il campo è qualcosa di unico. La Atp e i media spingono forte sulla loro rivalità, e ci si aspetta niente di meno che il fuoco nel nuovo anno.
Se questa è la rivalità che tutti vogliono, c’è una persona che non è d’accordo. Perché nel tennis, come nelle grandi narrazioni, gli schemi tendono a ripetersi. Come Djokovic si è inserito per guastare la romantica rivalità tra Federer e Nadal, così vorrebbe fare il danese Holger Rune con Sinner e Alcaraz. Forse non ha il loro talento, ma è forte, intelligente e sa battere avversari che sembrano più forti. Pare padroneggiare meglio di altri il dedalo di punteggio del tennis, e sa manipolarli mentalmente per portare le partite nel proprio contesto – «Giocare con lui è come guardarmi allo specchio» ha detto il Grande Manipolatore Djokovic.
Il 2023 è stato un anno minore per Rune, rispetto a un 2022 folgorante. Ha cambiato allenatore, scegliendo Becker (ex allenatore di Nole) e sta cercando il suo equilibrio. L’impressione è che nel 2024 potremo aspettarci molto da lui.
Accanto a loro c’è sempre quell’animale strano di Daniil Medvedev, un campione Slam che trama nell’ombra, col suo tennis esotico, difensivo e cerebrale. Ultimamente i più giovani hanno dimostrato di avere più armi di lui, ed è quindi il momento di inventarsi qualcosa di nuovo.
Nel 2023 Tsitsipas e Zverev hanno avuto due anni opposti. Il primo non sembra poter uscire da un’involuzione tecnica e mentale iniziata con l’infortunio al gomito, col rovescio diventato sempre meno affidabile. Agli Australian Open difende i punti della finale dello scorso anno ma è sulla terra, la sua superficie preferita, che dovrà dimostrare di poter essere ancora un potenziale campione e non solo una figurina da rotocalchi.
Zverev è tornato a ottimi livelli dopo il grave infortunio alla caviglia, ed è riuscito a qualificarsi per le Finals. Oggi sembra un tantino indietro rispetto ai migliori, ma dispone ancora di uno dei servizi più devastanti del circuito e il suo livello competitivo è destinato a restare alto.
Sotto la cenere brucia il fuoco di altri giovani tennisti che nel 2024 mirano a farsi strada. Il primo nome è quello della grande speranza americana Ben Shelton. Gli Stati Uniti sono tornati a produrre diversi tennisti d’alto livello ma mancano ancora di un campione. Shelton sembra averne le caratteristiche, con un gioco appariscente e spettacolare, emerso soprattutto durante la stagione sul cemento. È un tennista potente, che ama giocare ispirato, e che può trovare settimane brillanti. Nel 2024 dovrà diventare più consistente: nel rendimento della seconda di servizio, nella manovra più strategica da fondo campo. Ha solo 21 anni.
C’è un altro americano meno chiacchierato ma che sa giocare molto bene a tennis. È il figlio d’arte Sebastian Korda, che dopo un 2023 interlocutorio mira a ottenere qualche risultato di rilievo. Finora ha vinto solo un 250, ma può fare molto di più: ha un tennis pulito, elegante e completo. Serve bene, sa giocare a rete, ma ha bisogno di salire di intensità, anche dal punto di vista fisico.
Altri tennisti giovani hanno il talento per far parlare di sé nel nuovo anno, come l’inglese Jack Draper, mancino finora penalizzato dagli infortuni. È il più giovane britannico a raggiungere una finale dai tempi di Murray. C’è poi Jiri Lehecka, sublime tennista di scuola ceca, e quindi clinico colpitore da fondo campo, esaltante nelle geometrie che disegna sul rettangolo.
Dietro ai giovani, altri anziani artisti della racchetta cercano gli ultimi momenti di felicità. Il rovescio di Stan Wawrinka ha ancora giornate di luce assoluta e vale la pena di essere gustato fino al suo ritiro. Murray continuerà la sua angosciante lotta con sé stesso, mentre Grigor Dimitrov pare sul crinale di una nuova giovinezza tennistica. È lui ad aver vinto il primo torneo dell’anno, sei anni dopo l’ultimo trionfo. Il suo tennis, sempre regale, ha ritrovato atletismo e nuova forza dal lato del rovescio. Nessun tennista oggi offre la sua profondità estetica.
Il tennis sembra aver vinto la difficile sfida di trovare nuovi volti e nuovi campioni alla coda della grande epoca dei Big 3. Due di loro, però, non si sentono ancora pronti per lasciare spazio a una nuova era.