Si sta consumando il lungo rito delle qualificazioni che precede l’inizio del torneo con tanti primattori pronti a recitare un ruolo da protagonista
La tentazione di distogliere l’attenzione dal caso Djokovic è enorme. È tanta anche la voglia di parlare di tennis giocato, o di quello che verrà giocato a partire dalle prossime ore, una volta espletata la formalità delle qualificazioni, rampa di lancio del tabellone dei 256 eletti, divisi equamente tra uomini e donne.
Difficile, parlando di Australian Open, cercare di spostare ragionamento e analisi via dall’ombra avvolgente della figura di Novak Djokovic, il numero uno al mondo che ha legato la propria immagine al primo Slam della stagione, vinto a nove riprese. Tante da diventarne il padrone di casa quasi indisturbato.
Alla stessa stregua, appare forzato e quasi irriverente mettersi a disquisire di un Roland Garros senza Rafael Nadal, che a Parigi ha addirittura fatto tredici, o di un Wimbledon senza Roger Federer, trionfatore sull’erba di Church Road a otto riprese.
Melbourne, Parigi, Londra: tre tornei simbolo, dei quattro che compongono lo Slam e che hanno inevitabilmente qualcosa in più, sennò mica si chiamerebbero “major”, per distinguerli da tutti gli altri, compresi i pur ricchissimi Masters 1’000. Manca New York, forse l’appuntamento meno nobile, meno ambìto, quello che i grandi del tennis dell’ultimo ventennio si sono più o meno equamente spartiti (tre Novak, quattro Rafa, cinque Roger), come se non interessasse a nessuno di loro lasciare un’impronta marcata anche lì, in zona Flushing Meadows.
O meglio: Djokovic la sua l’avrebbe impressa molto volentieri. Si sarebbe verosimilmente accontentato di farlo, foss’anche stata l’ultima volta. Già, perché il torneo della Grande Mela è il torneo che sarebbe potuto assurgere a evento del secolo, o del millennio, tennisticamente parlando, se il numero uno al mondo ne avesse vinto la scorsa edizione, centrando il clamoroso Grande Slam che ha invece solo sfiorato, battuto da Daniil Medvedev in quella che potrebbe passare alla storia come un’occasione più unica che rara, forse irripetibile. Va dato atto a Djokovic di essere l’unico, al momento, ad anche solo poter accarezzare l’idea di un Grande Slam. Nessuna possibilità per Roger, poche anche per Rafa. Si può forse leggere qualcosa di simbolico, nel fallimento dell’operazione Slam che al serbo non è riuscita proprio nell’appuntamento, dei quattro, che sembra godere di meno fascino rispetto ai tre che lo precedono nel calendario del tennis. È il quarto, e forse non lo è solo in ordine di tempo.
Nole è il re di Melbourne, Nadal governa su Parigi con più autorità di quanto riuscì a Luigi XIV, al secolo Sole, sovrano di spessore ma senza l’autorevolezza e il pieno controllo che il maiorchino esercita sul Roland Garros. Wimbledon è il giardino di casa Federer, colui che meglio e più di tutti incarna l’essenza stessa del tennis. E quale miglior teatro della recita della racchetta da parte di Sua Maestà (tanto per restare in tema di monarchi) della struttura che trasuda storia e tradizione? Con una cocciutaggine che litiga un po’ con la deriva moderna di una disciplina che sta cercando di adeguarsi per stare al passo con tempi sempre più frenetici, pane per i denti di imprenditori a caccia dell’affare economico più che per nostalgici amanti dell’erba e del candore del bianco.
A ciascuno il suo. Melbourne resta il torneo di Novak Djokovic, a prescindere dalla sua vicenda personale. Ma è pur sempre il primo Slam stagionale e inaugura la stagione 2022 che non chiama in causa solo i più forti di sempre. La scorsa annata, del resto, qualcosa ha detto, circa la possibilità che sul palco possano anche essere altri, ad avere il diritto di salire.
Primo tra tutti, il citato Medvedev, l’autore di uno degli sgarbi più clamorosi della storia del tennis, la finale degli Us Open vinta in faccia a Djokovic, ritrovatosi a un solo passo dall’incoronazione a “più titolato di sempre”.
Il russo lo scorso anno aveva contribuito al successo della Russia alla Atp Cup di Sydney. Agli Australian Open 2022 cerca il passo successivo, quello che da finalista (battuto da Djokovic) quale è stato nel 2021 ne possa fare il vincitore dell’edizione entrante. Ha il potenziale e i mezzi tecnici per arrivare fino in fondo. Del resto, lo scorso luglio è diventato il primo tennista dal 2005 a occupare la top-2 del ranking al di fuori dei Fantastici Quattro (Federer, Nadal, Djokovic e Murray). Non sempre esaltante, il suo cammino, con qualche calo di tensione figlio di un carattere un po’ particolare. Il finale di 2021 è però stato notevole: il citato titolo di New York gli ha lanciato la volata in direzione delle Atp Finals, appuntamento che gli è sfuggito in finale, sconfitto da Alexander Zverev.
Il tedesco entra di diritto nello stretto novero dei favoriti alla conquista del primo Slam dell’anno.
La sua strada è quella di Novak Djokovic hanno avuto un paio di incroci niente male, lo scorso anno. Non sempre ne è uscito con le ossa rotte, al contrario. Il primo, proprio a Melbourne, nei quarti, vinti dal serbo. Dopo una primavera di stenti, ‘Sascha’ sbanca Madrid violando il domicilio di Rafa Nadal, sconfitto ai quarti. Un’impresa che gli dà lo slancio per far suo il torneo. A Parigi viene fermato in “semi” da Tsitsipas, ma il bello deve ancora arrivare. Grazie al successo in finale ai danni del russo Kachanov pianta la bandiera tedesca sull’Olimpo e mette al collo la medaglia d’oro a Tokyo. La vera impresa l’aveva firmata in semifinale contro Novak Djokovic, in quel momento animato dalla pazza idea di far suo il Golden Slam che avrebbe premiato il vincitore dei quattro “major” e dei Giochi Olimpici. Non è l’ultimo sgarbo al serbo, in una stagione che ne ha finalmente sancito la maturazione, da esponente della Next Gen in cerca di incoronazione a degnissimo primattore e sulla scena del tennis. Nelle Atp Finals di Torino batte Djokovic in tre set per poi chiudere in bellezza mettendo sotto anche Medvedev.
Più defilato, anche perché reduce da una stagione non memorabile (con un paio di picchi proprio in chiave Slam, però), il greco Stefanos Tsitsipas, quarta testa di serie, uno che per vincere ai massimi livelli deve essere davvero ben centrato sull’argomento. Come fu il caso a Parigi lo scorso anno, dove fu finalista, e parzialmente proprio a Melbourne, lo Slam che sembra gradire di più dopo la terra del Roland Garros (è stato due volte semifinalista, nel 2019 e 2021).
Testa di serie numero 6, Nadal parrebbe partire da una posizione più defilata. Se non fosse che ha appena vinto il torneo di preparazione di Melbourne (si sa quanto Rafa trovi le energie di cui ha bisogno per alimentare il proprio tennis proprio nelle partite giocate e nelle vittorie) al rientro da cinque mesi di stop per infortunio. E poi è sempre Nadal. Per dirne una: con il recente successo è diventato il primo tennista nell’era Open a vincere almeno un trofeo per diciannove stagioni consecutive.
È pur vero che non ha mai praticamente gradito il primo Slam stagionale focalizzato come è da sempre sulla primavera che lo lancia idealmente alla conquista della terra, con destinazione finale Parigi. A Melbourne ha però già vinto (nel 2009, contro Federer), e ha tutto quanto serve per essere considerato uno dei pretendenti al trono di Djokovic. Non fosse che per le difficoltà enormi che gli avversari devono superare per venirne a capo. Su qualunque superficie, erba compresa.
Di complicatissima lettura, la situazione in campo femminile. Da molte stagioni, ormai, mancano i punti di riferimento sui quali imbastire un’analisi che si possa rivelare attendibile. Sul fronte elvetico, Belinda Bencic è la 22esima testa di serie. Come nel 2019 e nel 2020, lo scorso anno ha salutato Melbourne allo stadio dei sedicesimi di finale. Un po’ presto, per una tennista che si è tatuata nel cuore i cinque cerchi olimpici grazie all’oro vinto a Tokyo e che in carriera ha già sorpassato le trecento vittorie sul circuito Wta.
Ashleigh Barty è la numero uno del tabellone. La beniamina di casa ha vinto il Roland Garros nel 2019 e Wimbledon lo scorso anno, ma davanti al pubblico amico non è mai andata oltre la semifinale. Lontana dai campi dal 5 settembre 2021, è riapparsa al torneo di Adelaide che ha vinto (ottenendo il quattordicesimo titolo in carriera) sia in singolare sia in doppio. Fin troppo facile farne una candidata al titolo.
I titoli Slam di Garbine Muguruza (n. 3) sono datati (2016, rispettivamente 2017), ma i conti vanno fatti anche con la spagnola, peraltro mai oltre il secondo turno a Melbourne. Non fosse che perché nel 2021 ha conquistato tre tornei, ha messo in fila quattrocento vittorie in carriera e festeggiato il ritorno nel Top-3 della Wta anche grazie al successo ottenuto alle Wta Finals.
Nel palmarès di Aryna Sabalenka manca ancora un guizzo in singolare griffato Slam. La bielorussa, però, lo scorso agosto si è issata in seconda posizione del ranking mondiale di singolare e (in febbraio) al vertice di quello di doppio, grazie al successo ottenuto in doppio proprio a Melbourne.
La campionessa in carica è Naomi Osaka (n. 13), reduce da una stagione un po’ travagliata segnata anche da un momento di difficoltà personale (ha sofferto di depressione). La giapponese nel 2021 ha sbancato Melbourne alla sua quarta finale Slam (la seconda in Australia dopo quella del 2019, coronata da successo), conquistando il quarto titolo Slam (quarta tennista ancora in attività a esserci riuscita, ha conquistato a due riprese anche gli Us Open).