L’allenatore ticinese e l’avvio di stagione quasi perfetto della sua atleta: ‘Le ho detto, che merita di godersi ciò che fa’
Mauro Pini è un allenatore decisamente di buon umore. Bella forza, vien da dire: un terzo posto in gigante e due vittorie in slalom – bottino dell’atleta di cui è coach da alcuni mesi – rallegrerebbero chiunque. Lo stato d’animo del leventinese, però, più che una conseguenza di un avvio di stagione al fulmicotone, ne è la spiegazione. Perché la felicità è la nuova arma in più di Petra Vlhova.
È ancora a Levi, dove il team della slovacca ha deciso di rimanere anche dopo le gare del weekend, che lo raggiungiamo al telefono, al rientro da una sessione di allenamento. «Abbiamo scelto di restare qui fino a mercoledì (ieri, ndr), perché a Killington (dove sabato 27 è in programma un gigante e domenica 28 uno slalom, ndr) l’innevamento è scarso. Viaggeremo alla volta della località statunitense giovedì, dopo una notte a Helsinki. Io ero arrivato qui il 30 ottobre e avevamo iniziato a sciare il giorno seguente. Abbiamo trovato condizioni ideali: piste perfette e ben preparate, grazie sia ai depositi di neve della scorsa stagione, sia alle recenti precipitazioni. Rimanere per tutto questo tempo, si è rivelata un’ottima scelta».
Quasi un mese in Lapponia è stato complicato da gestire?
Non nascondo che questo aspetto costituiva un punto interrogativo. Oltre tre settimane nello stesso posto, oltretutto in condizioni di luce particolari (è chiaro dalle 10 alle 15), sarebbe potuto essere difficile. Però il team ha reagito molto bene, Petra in primis; e siamo riusciti a gestire ottimamente il soggiorno. Merito soprattutto della buona alchimia all’interno del nostro gruppo. C’è un magnifico equilibrio e per ora funziona tutto al meglio.
Lassù sono arrivate due vittorie in due giorni: aiutano, no?
Iniziare bene era il nostro scopo principale. Ripetere la doppietta della scorsa stagione, non era scontato. Anzi. Ma Petra è stata grandissima.
In televisione è sembrato di vedere una Vlhova che si stava godendo il momento. È stato così?
Sì ed era proprio uno dei miei obiettivi. Fin dall’inizio le ho detto: “Sarai una Petra 2.0”. Ancora oggi con lei discutevo del fatto che abbia tutto il diritto di vivere le giuste emozioni per sé stessa. Sto cercando di farle capire che ciò che fa, lo deve fare per lei con tanto piacere e il sorriso sulle labbra. E in effetti ridiamo, ridiamo parecchio. Lavoriamo anche parecchio, con gioia. È un approccio, quello di Petra di questo inizio stagione, notato da molti e che si rispecchia nella sua sciata: più fluida, fresca, leggera; capace di accarezzare la neve. Eravamo abituati a vedere una Petra aggressiva, fredda, spesso scura in volto; assicuro che è tutt’altro. Sta scoprendo questo poter essere ‘normale’ anche in una giornata di gara.
Imparare un nuovo modo di vivere lo sci dopo aver già vinto tanto, lei come lo vive?
È felice! Lo ha dimostrato anche in pista. Sta capendo che non solo è ancora capace di vincere, ma ha ulteriore margine di miglioramento. Proprio anche grazie a una conduzione più equilibrata del programma e a un dialogo più sereno.
È facile per un allenatore insegnare a una campionessa già affermata a ‘prendere’ il suo sport da un diverso punto di vista?
Non so se sia facile o difficile. Io con questo tipo di atleti sono sempre riuscito a trovare il giusto dialogo, a mettermi sullo stesso piano. Non impongo nulla; cerco, invece, di trasmettere il messaggio con coerenza. Ritengo infatti che occorrano proprio coerenza e convinzione, oltre che la capacità di esprimere le proprie idee con tranquillità. Una tranquillità che si ‘trasferisce’ sulla neve. Quando l’atleta avverte questo, il binomio funziona.
Quali sono state le tue emozioni durante le prime gare?
Io vivo la giornata di gara meno emotivamente, rispetto ai giorni di allenamento. A me piace davvero tanto la parte formativa, in cui riesco a seminare e far crescere qualcosa. È in quei frangenti che mi muovo con passione. Quella della competizione è la giornata dell’atleta, non dell’allenatore. Poi certo, la viviamo tutti con curiosità e intensità. È però nei momenti di preparazione, che mi posso esprimere di più. La gara è una verifica del lavoro fatto e un momento di gioia. E se arriva il risultato, tanto meglio.
Il terzo posto in gigante a Sölden ti ha stupito, o è già stata una conferma dei miglioramenti visti in estate?
Il gigante rimane il nostro cantiere. È lì, che Petra sa di dover migliorare; e ciò, indirettamente, ci aiuta a sostenere lo slalom, dal quale per ora arrivano i risultati più importanti. Sono sicuro che anche in gigante ritroverà un buon livello; cioè che può vincere. In quest’ottica dopo Killington faremo l’impasse sulle gare di velocità e andremo a Copper Mountain. In Colorado dedicheremo dieci giorni all’allenamento di velocità e gigante, anche per testare il materiale in vista delle Olimpiadi di Pechino. Sulle piste cinesi che, a causa della pandemia, nessuno ha potuto provare, si potrebbe trovare una neve simile a quella statunitense. Da qui la scelta di investire un ulteriore periodo nella preparazione. Da Courchevel in poi, invece, entreremo nella routine regolare della Coppa del Mondo, compresa la velocità da gennaio. Con Petra è stato bello affrontare il discorso della programmazione, che ci ha portati a saltare il parallelo di Lech, che in un primo momento era in programma. Eravamo già a Levi per l’allenamento e, più i giorni passavano, più ci rendevamo conto che le priorità erano altre. La scelta è maturata assieme e con la convinzione su quali siano le nostre priorità, siamo arrivati serenamente alla decisione anche di non essere al via a Lake Louise e molto probabilmente nemmeno a St. Moritz. Questa coerenza nel mantenere la roadmap stabilita a inizio stagione e nel portarla avanti con serenità, per Petra è un tema nuovo, da cui trae forza.
In che modo?
Guadagna in autostima. È più coinvolta nelle decisioni di pianificazione e strategia. Si sente importante: non è più solo l’atleta che deve andare in pista, seguendo una strada tracciata da altri; avverte di essere parte del progetto e per lei è fondamentale. È un aspetto che ho sempre vissuto con i grandi campioni: è importantissimo, che si sentano attori e autori del proprio percorso.
La stagione è dunque iniziata come avreste voluto; al di là degli ottimi risultati, che ovviamente non sono secondari?
Sì. Già il podio di Sölden, con una seconda parte in rimonta, è stata un’iniezione di fiducia. Un risultato negativo avrebbe potuto farla uscire dal primo gruppo nel gigante. Invece il podio ha permesso di partire con grande serenità. Uno stato d’animo portato anche nel campo di allenamento qui a Levi. Molti addetti ai lavori ci hanno chiesto come abbiamo fatto a stare qui così a lungo. Per me, basta essere sereni e avere bene in chiaro dove si vuole andare.