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La sua Vlhova fa faville, ‘ma la Fis rispetti di più le atlete’

Mauro Pini: ‘Il circuito femminile sembra la ruota di scorta. La coppa di slalom? Contenti, non appagati’. E poi Olimpiadi, pandemia e Marco Odermatt.

Mauro Pini (in ginocchio a sinistra) allenatore di Petra Vlhova
20 gennaio 2022
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Ne indovini i frequenti sorrisi dietro la mascherina che toglie giusto il tempo di un caffè. La posta in gioco, le Olimpiadi dal 4 febbraio, è alta e in tempi di pandemia, la prudenza è d’obbligo. Del resto Mauro Pini, allenatore di Petra Vlhova, ha più di un motivo per essere soddisfatto. A partire dalla vittoria già assicurata nella classifica di slalom. Ma il leventinese non è certo tipo di accontentarsi e, di passaggio in Ticino, ci parla a ruota libera.

La coppetta era un obiettivo dichiarato?

Sì, sì, sì. Era uno dei nostri traguardi principali. Quindi portarci a casa la coppa l’11 gennaio, al di là delle incongruenze di calendario, è grandioso. Non mi piace parlare delle altre, ma Shiffrin è arrivata ad avvio di stagione non in perfetta forma, ed è stata battuta sul campo. Certo, ha saltato uno slalom per Covid, ma non credo che l’esito finale sarebbe cambiato. Petra è superiore a tutte. Lo dimostrano i successi e come sa reagire nei momenti complicati. Cito il salvataggio a Killington, dopo un errore simile a quello costato l’eliminazione ad Alex Vinatzer a Wengen. Con un grande gesto tecnico lei è rimasta nel percorso e ha chiuso seconda.

Avere già vinto un trofeo è un sollievo o un ulteriore impulso per il resto della stagione?

Per noi è una carica; anche perché l’obiettivo è stato centrato con grande chiarezza e personalità. Non ci toglie pressione, ma infonde più autostima e consapevolezza. Quest’anno in slalom Petra scia con fiducia. Lei voleva la coppetta, perché è nata slalomista e, dentro di sé, si sente slalomista.

In cosa Petra è diversa rispetto alla stagione 2019-20, quando vinse il primo piccolo cristallo?

Oggi è più tranquilla e serena. Ancora l’altro giorno a Zauchensee raccontava che, prima, ogni volta che si allenava, era come se dovesse affrontare una gara che doveva vincere. Era diventata una pressione al limite. Noi oggi non le chiediamo costantemente la performance, ma fissiamo obiettivi giorno dopo giorno. È una gestione più equilibrata e lei ne approfitta anche come persona. Riesce a essere più riposata e per un allenatore è fondamentale, che un’atleta di questo calibro, in pista possa sempre esprimersi al meglio. Sotto fatica e sotto pressione, è impossibile. I sorrisi che lei ora riesce a esprimere, sono frutto del suo nuovo equilibrio.

In slalom lei, voi, si aspettate sempre di vincere?

È chiaro che con una sciatrice come lei, si parte per vincere. A Schladming non ti nascondo che un paio di imprecazioni mi sono scappate.

Battuta solo da Mikaela Shiffrin, si è assicurata la coppa di slalom e all’allenatore partono invettive?

Una non vittoria lascia il giusto amaro in bocca, per provare a fare meglio la volta dopo. Il podio di Schladming garantiva la coppetta e, a scanso di equivoci, la gioia è parecchia. Ciò non toglie che, durante una stagione, ci siano tanti obiettivi intrinsechi (come vincere su una pista nuova); a questo livello si devono creare detonatori motivazionali, per mantenere alta la tensione. Non ci si può ‘accontentare’ di un podio. Schladming era una sorta di prova generale in vista delle Olimpiadi; poiché, come a Pechino, era una pista su cui nessuna delle partecipanti aveva mai gareggiato e nel nostro team, in cui siamo otto, ci sono sia persone con esperienza che giovani. La prova è andata bene da una parte; ma per noi non va sottovalutato che Petra, nella seconda manche, si sia detta che non voleva sbagliare. Vincere, sarebbe stato quel qualcosina in più. Vabbè, questa voglia ce la portiamo in Cina (ride).

Come si riesce a fare evolvere un campione già affermato, facendogli magari scoprire qualcosa di nuovo di sé?

Per me fondamentali sono organizzazione e comunicazione a trecentosessanta gradi. Quando le cose sono fatte bene e in anticipo, l’atleta sente la serenità del gruppo e può concentrarsi su ciò che deve fare: sciare forte. Per questo, oltre ad allenarsi, deve alimentarsi e riposare bene. Se tutto funziona, nel team si crea la giusta energia e ognuno ha il tempo per lavorare, per rilassarsi, divertirsi e avere i propri momenti di privacy. Fin dall’inizio al team di Vlhova ho spiegato quanto io ritenga essenziali i dettagli. Se non li si cura, c’è casino. È forse in questo senso, che io riesco a portare qualcosa in più.

E da un punto di vista tecnico?

(Ride). Entrano in gioco occhio ed esperienza. Petra ha sempre sciato di forza, quasi di rabbia, perché così le era richiesto. Con un enorme lavoro sui dettagli tecnici, ora ha una sciata più morbida, moderna; con piedi più stretti e grande disciplina con il busto.

Cosa le dici dopo una gara?

Il mio credo è di trovare sempre qualcosa di positivo, prima di andare a lavorare su quanto è mancato in gara o allenamento. Parliamo di sport: non si può pretendere che tutto sia costantemente al top o si primeggi ogni volta. È importante ricompensare lo sforzo e l’attitudine. Anche, se non soprattutto, a questo livello; perché l’abitudine a vincere, gioca brutti scherzi. Per Petra questa è una nuova via e l’apprezza. Prima delle gare di Zagabria ha assistito alla scena di un allenatore che, in zona partenza, si è rivolto con toni e contenuti pesanti alla propria atleta, mortificandola davanti ai presenti. Ne è rimasta molto colpita tanc che, più tardi, mi ha detto: “In quei trenta secondi, mi sono rivista negli ultimi cinque anni”. Il fatto che me lo abbia raccontato, significa che abbiamo un livello di fiducia reciproca, che va oltre il ‘semplice’ rapporto allenatore-atleta. Quando arrivi a questo tipo di intesa, si aprono tutte le porte.

Se non arrivasse l’oro in slalom alle Olimpiadi, sareste delusi?

No, no. Lo saremmo, se non arrivasse una medaglia. In slalom siamo tra i favoriti e ci assumiamo il ruolo; ma dire che andiamo lì per vincere, sarebbe da supponenti. Alla luce dei risultati in stagione, è chiaro che se il titolo non andasse a Petra o Shiffrin, sarebbe un’enorme sorpresa.

Avete mire anche in gigante?

In questa disciplina Petra non parte da favorita: è un’outsider, che può giocare da cacciatrice ed è un a posizione che ci va bene. Il fatto che il gigante sia la prima gara, è ottimo per rompere il ghiaccio. Petra sarà poi al via anche della combinata (in cui penso che i tre posti saranno affare di Shiffrin, Vlhova, Brignone, Gisin e Holdener); e del superG. Per la discesa vedremo al momento.

In classifica generale Shiffrin è davanti di soli 37 punti. Davvero non guardate al globo più prestigioso?

La posizione costituisce una certa sorpresa, perché Petra ha più punti della stagione scorsa, nonostante abbia partecipato a 6 o 7 in gare in meno. La caduta di Goggia a Zauchensee apre a vari scenari; in cui ritengo possano entrare anche Lara Gut (tutt’altro che tagliata fuori) e Federica Brignone. Per noi, ora, questo non è un argomento. Vedremo a fine febbraio dove saremo e poi decideremo, ad esempio, se partecipare alle discese di Crans Montana.

Come gestite la situazione legata alla pandemia?

È un contesto che mette apprensione. Una critica alla Fis la muovo, perché ha lasciato le squadre in balia degli eventi; mentre avrebbe potuto fare di più, per dare maggiore tranquillità (organizzativa ed emotiva) a tutti. Ad esempio, invece di demandare il compito alle squadre, io avrei visto di buon occhio che la Federazione internazionale predisponesse un proprio laboratorio, al seguito del circuito, che eseguisse i tamponi a sciatori e staff. Ci si sarebbe risparmiati diverse situazioni complicate, che generano inquietudine e incertezza. Meglio si sarebbe potuto fare anche in termini di alloggi, riservando alberghi ad atleti e addetti. Si sarebbero dovute evitare situazioni come a Courchevel, dove ci siamo trovati in hotel insieme a una marea di turisti. Non c’è da sorprendersi se, nei giorni seguenti, in ogni squadra ci siano stati casi di positività al virus.

Più ci si avvicina alle Olimpiadi e più sale la tensione. Una positività a uno dei cinque tamponi cui tutti dovremo sottoporci prima della partenza per Pechino, sarebbe una tragedia, sportivamente parlando. L’obiettivo è arrivare in Cina. Là, in caso di positività gli atleti dovranno osservare una quarantena, ma sarà data loro la possibilità di gareggiare.

Spostiamoci un attimo in campo maschile. Cosa pensi di Marco Odermatt, che sta impressionando per prestazioni e maturità?

Mi colpisce proprio la personalità che porta in pista; che sia una che conosce o una su cui non ha mai sciato, come Bormio o Wengen. È un fuori quota, tanto quanto un Marcel Hirscher per intenderci. Parlando da tifosi, possiamo dire di avere la fortuna che sia nato in Svizzera. Di lui amo la condivisione delle emozioni. Ad Adelboden si è potuto immergere in una ‘piscina’ di fan e si è proprio vista l’energia che emanava e quando di sé ha dato ai presenti.La comunione con il pubblico manca agli atleti. Noi lo abbiamo vissuto a Schladming, il tempio dello slalom, dove in tempi normali a guardare gli uomini ci sono cinquantamila persone. Le donne hanno corso nel silenzio e di sicuro sono state private di qualcosa. Anche in questo caso chiamo in causa la Fis, che deve cambiare passo nel trattamento che riserva al circuito femminile.

In che senso?

Parliamoci chiaro: con gli uomini a Wengen, Kitzbühel, Schladming, a gennaio le ragazze non se le fila nessuno; perché la differenza in termini di ‘show’ è troppa. È sulla ‘vendita’ del prodotto dello sci femminile, che la Fis deve lavorare meglio. Secondo me Schladming dovrebbe diventare una classica anche per le donne; che su quel pendio hanno dimostrato che, se messe nelle migliori condizioni, sanno e possono sciare ad alti livelli. Se si creano i presupposti giusti, le donne rispondono con prestazioni maiuscole. Invece accade sempre più spesso che le si faccia gareggiare su piste indegne, che rischiano anche di essere pericolose, come Zagabria o Kranjska Gora. Anche se a Kranjska abbiamo vinto, non siamo contenti. È stato come sciare una gara Fis: uno spettacolo indegno per una Coppa del Mondo e una mancanza di rispetto nei confronti di sportive di valore mondiale.

Come ti spieghi questa differenza di trattamento tra maschi e femmine?

Sono cambiate alcune posizioni chiave nella Fis, ma nella sostanza nulla è mutato e le cose ogni anno peggiorano. I dirigenti federativi possono ringraziare il fatto che ci siano personaggi come Petra o Shiffrin; ma anche Goggia e Gut, che attirano le luci dei riflettori. Non c’è una leadership e, ad esempio, chi gestisce il settore femminile non è stato né atleta né allenatore e quindi gli mancano pezzi essenziale del ‘puzzle’. Dovrebbero essere le grandi federazioni nazionali, anche per voce dei vari allenatori (tra i quali però nessuno parla), che in fondo rappresentano le ragazze, a farsi sentire e a pretendere condizioni migliori. C’è invece la sensazione che il settore femminile sia la ruota di scorta; dove, per fare un esempio, mandi gli allenatori giovani a farsi le ossa.

Eppure nello sci a essere personaggi sembrano più le donne, rispetto agli uomini; o no?

Sono d’accordo. È anche per questo che dico che non c’è rispetto per lo sci femminile. La Fis non ha la capacità, o la volontà, di riconoscere che una Shiffrin o una Vlhova o una Gut o una Goggia, siano più personaggi di un Pinturault o un Maier. Non si capisce perché non le si voglia mettere nelle condizioni di avere questo stato. È normale che, così, il livello generale non salga e che a uscire dal ‘mazzo’ siano poche atlete. Con il ritiro di Lindsey Vonn s’è creato un vuoto e, oggi, è come se la Fis delegasse alle sportive il ruolo di trascinatrici di un intero movimento sportivo.

Non è frustrante per chi lavora nel settore?

Eccome! Ho l’impressione che sia assodato che a essere là davanti siano Petra o Mikaela. C’è quasi più interesse per chi prenderà il terzo posto, che non a dare il giusto valore a chi vince una gara.