Il luganese preparatore acrobatico di Marco Tadè è finito in quarantena al suo arrivo a Pechino nonostante fosse appena guarito. ‘Ma ci siamo adattati’
“Oggi sono stati riscontrati 37 nuovi casi di Covid a Pechino, 28 all’aeroporto e 9 all’interno della ‘bolla’. Dodici positività riguardano atleti o membri delle varie delegazioni”.
Le Olimpiadi ai tempi del coronavirus sono anche questo, un bollettino quotidiano (nello specifico quello di ieri) che riporta i nuovi casi riscontrati nell’ambito dei Giochi olimpici, con conseguenti defezioni, isolamento e quarantene. Ne sa qualcosa il ticinese Juan Domeniconi, preparatore acrobatico della squadra svizzera di moguls (e quindi di Marco Tadè) “bloccato” a sorpresa dalle autorità cinesi al suo arrivo nel Paese lo scorso giovedì.
«Effettivamente non me lo aspettavo, perché per quanto sapevamo che in generale era una possibilità tutt’altro che remota visti i molti controlli ai quali bisogna sottoporsi, a livello personale ero forse il più tranquillo del gruppo visto che avevo contratto e superato il Covid recentemente – ci racconta il 29enne di Lugano dalla sua stanza di albergo di Pechino –. Più precisamente ero risultato positivo il 27 dicembre, tanto che non avevo potuto prendere parte alla tappa di Coppa del mondo in Canada (7-8 gennaio a Mont Tremblant, ndr), ma avevo poi raggiunto il team a Deer Valley (13-14 gennaio, ndr). In totale da quando sono guarito ho effettuato cinque tamponi negativi, per cui immaginate la mia sorpresa quando all’aeroporto di Pechino sono risultato positivo. Non so ancora adesso come sia potuto succedere, probabilmente hanno test più sensibili che hanno rilevato tracce del virus rimaste nel mio corpo, fattostà che presentare tutti i documenti del caso che attestavano la mia recente guarigione non è servito a niente: per i cinesi due tamponi positivi significa quarantena, sono irremovibili».
Da quel momento, l’ex ginnasta ha dovuto salutare i suoi compagni di viaggio, che potrebbe però riabbracciare presto… «Per i primi due giorni sono rimasto chiuso nella mia camera del villaggio olimpico e devo ammettere che un po’ di preoccupazione c’è stata, anche perché la nostra è stata una delle prime delegazioni ad arrivare in Cina e non era ancora ben chiaro cosa sarebbe successo. Poi sono stato spostato nell’albergo predisposto per l’isolamento e a quel punto, dopo che mi hanno spiegato cosa sarebbe successo, mi sono tranquillizzato. E devo dire che alla fine è stato meno peggio di quanto temessi, anche perché mi sono messo il cuore in pace. Ormai sapevamo che qui avremmo trovato una situazione particolare e che avremmo dovuto adattarci e così ho fatto. D’altronde, non avevo altra scelta. Per uscire dalla quarantena stretta, avevo bisogno di due test negativi, ieri ho avuto il primo e oggi il secondo, anche se dovrò pazientare ancora un giorno in quanto certi valori sono ancora al limite. In ogni caso poi non sarò del tutto libero, dovrò accontentarmi di una quarantena light che mi permetterà perlomeno di recarmi sulla pista per gli allenamenti e la gara. Non è il massimo, ma va bene così».
Di certo, per Domeniconi Pechino si sta rivelando un’esperienza ben diversa dalla sua prima Olimpiade vissuta quattro anni prima a Pyeongchang con Deborah Scanzio… «Decisamente, anche se i Giochi rimangono un evento a sé, sono unici. In pratica anche noi allenatori diventiamo degli atleti, alle spalle abbiamo tantissime persone che lavorano per noi e a differenza di quanto accade in Coppa del mondo, dove siamo noi a dover organizzare tutto – ad esempio i trasferimenti e gli alberghi –, qui possiamo davvero concentrarci solo sull’aspetto sportivo. Addirittura da quando sono finito in quarantena, Swiss Olympic mi ha messo a disposizione uno psicologo che mi segue e mi chiama ogni giorno. Abbiamo un supporto incredibile, ancora maggiore rispetto al solito ed è qualcosa di speciale».
Seppur impossibilitato a raggiungere il pendio sul quale si svolgono le prove di freestyle, Domeniconi ha trovato ugualmente il modo per seguire e consigliare Tadè nei primi giorni di allenamento sulle gobbe cinesi… «Diciamo che nella sfortuna della situazione abbiamo anche avuto una fortuna, ossia il fatto che avevamo già vissuto una situazione simile lo scorso anno ai Mondiali. Anzi, era stato ancora peggio perché a causa della positività di Jack (Giacomo Matiz, l’allenatore capo, ndr) eravamo dovuti rimanere entrambi in quarantena e di conseguenza non avevamo nessun allenatore in pista. Stavolta invece perlomeno lui è presente sul tracciato, filma e mi manda i video, io li analizzo, gli indico le correzioni e poi alla fine tutti insieme facciamo un feedback. Non è ottimale ma così riusciamo a gestire il tutto in maniera relativamente tranquilla, grazie proprio come detto all’esperienza già maturata in passato. Sapevamo che sarebbe potuto succedere e non a caso per minimizzare i rischi e fare in modo di permettere di avere almeno un allenatore in pista, nelle ultime settimane prima della partenza io e Jack ci siamo visti il meno possibile».
E tutto questo che impatto ha avuto su Marco Tadè, che Juan Domeniconi conosce bene avendolo visto crescere come atleta e come persona, dato che al suo approdo nello staff della selezione svizzera di moguls nel 2010 aveva già trovato nel team un giovanissimo Tadè alle prime esperienze in Coppa Europa e in Coppa del mondo (l’esordio nel 2011)...? «Marco è rimasto sempre molto sereno, pensavo che potesse subire maggiormente questa situazione, invece non è stato il caso. D’altronde, anche lui era preparato a questa evenienza e si è adattato senza problemi. Ha già svolto due giornate di allenamento, domenica e lunedì e sono andate molto bene, la pista gli piace e ha già messo tranquillamente i suoi salti di base, il “Full” e il “Cork”, lavorando poi sulle versioni più difficili, i due avvitamenti sul primo e il 1000 sul secondo, con buoni risultati. Diciamo che tutto sta andando secondo i piani, è riuscito pure a “switchare” rispetto a quanto fatto finora in stagione, nella quale aveva faticato un po’ ed era sempre sembrato un po’ timoroso. Comprensibilmente e non del tutto a sorpresa, visto il passato (in particolare nel 2018 un infortunio al ginocchio lo aveva privato all’ultimo della sua prima partecipazione ai Giochi, ndr) e con l’appuntamento olimpico alle porte, ma ora si vede che si è sbloccato ed è qui per giocarsela fino in fondo».
Il primo passo sarà cercare la qualificazione per la finale di sabato, se possibile attraverso la qualifica 1 di giovedì (12.45 ora svizzera, i migliori dieci raggiungono direttamente l’ultimo atto), senza dover quindi passare dalla qualifica 2 in programma sempre sabato (ore 11, i venti atleti non ancora qualificati si giocheranno gli ultimi dieci posti per la finale, al via dalle 12.30)... «L’idea è far pausa martedì, anche per preservare un fisico che non possiamo sovraccaricare troppo, per poi effettuare le rifiniture il giorno prima delle qualifiche 1. L’obiettivo sarà cercare la qualificazione diretta per la finale con il Full – un avvitamento singolo – sul primo salto e il Cork 1000 sul secondo, alzando poi la difficoltà per l’eventuale finale. Lì sì che se si vorrà puntare a una medaglia, bisognerà osare qualcosa in più, dimenticandosi il passato e lasciandosi andare. E sono sicuro che Marco lo farà».