L’olandese ha chiuso con la quindicesima vittoria in ventidue Gran premi. Non sarà simpaticissimo, ma ha probabilmente aperto un nuovo ciclo
Verstappen suggella la quindicesima vittoria su 22 gare corse, stabilendo un record che ne dimostra la pienezza di valore per il titolo mondiale conquistato con semplicità, il secondo consecutivo della sua giovanissima carriera.
Potremmo essere agli albori di un dominio ciclico come quello che ha segnato la F1 dagli inizi degli anni 2000 e dire in modo netto che quando un filone di progetto viene imbroccato, recuperare il team leader è impresa oltremodo complicata, significa essere capaci di inventare una monoposto migliore che vale due stagioni in una. Vi è stato il tempo della Rossa di Schumacher, poi quello della Red Bull di Vettel, a seguire della Mercedes-Benz di Hamilton e ora nuovamente Red Bull con l’olandese.
Certo, il tanto lavoro che attende i vari team nel breve periodo di interruzione di quello che è oramai un campionato quasi annuale e che nel 2023 tornerà con ben 23 Gran Premi da disputare, è molto e intenso. Tecnicamente pensare di fare un salto rilevante sia per Ferrari, sia per Mercedes-Benz è il contrario di ciò che lo sviluppo di questi anni ha dimostrato, ben oltre le dichiarazioni di facciata. Lo sanno bene i progettisti.
La corsa di Abu Dhabi ha avuto nella lotta per il secondo posto finale nella classifica piloti tra Perez e Leclerc, l’unico elemento di interesse. La fortuna ha arriso al monegasco, complice questa volta una indovinata scelta strategica del box che ha optato per un solo cambio gomme contro il duplice del messicano. Al netto delle polemiche della settimana in merito alla poca sportività di Verstappen verso il proprio compagno di squadra, proprio il muretto Red Bull, sempre perfetto in stagione, ha ieri impedito il risultato a Checo in favore della Ferrari, che ha pure mantenuto il secondo podio del Costruttori. Enzo Ferrari amava affermare che il secondo classificato fosse il primo degli ultimi, a dire quanto conti solo vincere, ma se pensiamo a dove si ubicava la squadra di Maranello nella stagione 2021, il miglioramento è stato evidente. Senza decisioni erronee e con una affidabilità migliore, la lotta della stagione sarebbe stata assai più avvincente piuttosto che spegnersi dopo tre gare.
Giornata di addii: Vettel, Ricciardo e Mick Schumacher, quell’aria di smobilitazione tipica del fine Mondiale insomma.
Pagellone speciale
Vettel, voto sei con lode: la F1 perde oltre che un campione, una persona perbene, un galantuomo, un pilota che è maturato in modo notevole sul piano interiore e che il Covid ha segnato nel profondo nell’assetto di valori e priorità. Certo anche il suo barbiere deve avere avuto problemi notevoli trasformandolo da super rasato a supergrunge che manifesta in piazza con zia Greta da Stoccolma. Il tributo corale, affettuoso, sincero che ha ricevuto dice con chiarezza chi sia stato nella storia della F1. Le scuse di Binotto, tardive, puzzano di lacrime di coccodrillo, le stesse lacrime che crediamo abbia versato Hamilton nel pagare il conto a tutti i piloti della stagione alla cena tributo in onore di Seb che pare abbia detto che se lo avesse saputo avrebbe bevuto il triplo.
Verstappen, cinque e mezzo: il talento è inossidabile e garantito. Il carattere migliorato, ma ancora se messo sotto pressione sa divenire antipatico come pochi altri. Checo Perez, infatti, lo ha invitato per una cena tra amici nella Sierra messicana, in una gola nascosta. Sarà il campione dei prossimi anni, parte della sua forza proviene dalla tenacia, ma essere antipatico non gli gioverà. Il tempo è galantuomo anche in F1.
Leclerc, voto cinque: nel corso della stagione ha sofferto il rapporto con Bin8 in modo grande, sentendosi spesso frustrato dalle scelte della squadra e dalla mancanza di performance. Più volte ha chiesto di poter correre liberamente, ma il simpatico Mattia gli ha spesso tarpato le ali, le gomme, l’aerodinamica, la potenza. Insomma ‘attapirato’ come pochi. Gli manca poco per fare il salto finale, su tutto una monoposto.
Domenicali, voto cinque: il presidente più democristiano della storia della F1 prosegue con successo nell’aggancio dei giovani. Netflix è stata una decisione geniale, aumentare i Gp pure, portare talenti in corsa ancor più. Ora si riposerà nell’amata Monza dove vive e il cui suono cittadino ha molto della sua vita quotidiana. Ma un poco di montagna no? Ha risposto certo al Montestella di Milano.
Schumacher, voto due: è arrivato alla F1 per cognome, vicinanza a Todt e marketing (Prema docet). Non è bastato, in più si è scontrato frontalmente con un trattore altoatesino come Steiner che non lo aveva mai amato. Quando poi lo ha visto smontare regolarmente le sue monoposto si è rivolto alla John Deere per un cambio di conduzione. Ora deve su tutto farsi un esame di coscienza e comprendere cosa voglia dalla sua carriera.
Hamilton, voto tre: non per colpa sua chiude senza mai avere vinto e addirittura con tanto di ritiro finale. La dice lunga sui problemi della sua monoposto e quanto essa conti per vincere i Mondiali. Un sano bagno di umiltà che gli servirà per la prossima stagione. Anche Totò lo sa bene e, conoscendoli, si rifaranno.
Alfa Romeo, voto uno: i vertici di Parigi e Torino non hanno portato nulla al team elvetico nella pratica e l’addio prolungato del 2023 non aggiungerà nulla a una relazione mai decollata dopo la scomparsa di Marchionne.
Permettete infine un affettuoso saluto a tutti i miei lettori. È questo il mio ultimo articolo per la testata che festeggia 30 anni. Ringrazio per la pazienza di chi ha voluto leggermi e auguro al giornale e ai colleghi soddisfazioni sempre maggiori.