Ultima reincarnazione del bomber da grande competizione, che, spesso sparisce nel nulla, restando nella memoria collettiva: come Schillaci, Milla e Götze
Wout Weghorst è riapparso nelle nostre vite di calciofili all’81’ minuto di Paesi Bassi-Polonia. Lì per lì, mentre entrava in campo, non tutti ci hanno fatto caso. Quando 100 secondi dopo ha segnato il gol che ha dato la vittoria agli olandesi al primo pallone toccato, a molti è suonato un campanello. Weghorst è lo stesso calciatore che, un anno e mezzo fa, alzandosi dalla panchina, segnò in rapida sequenza i due gol che all’ultimo Mondiale permisero ai Paesi Bassi di recuperare il doppio svantaggio con i futuri campioni dell’Argentina, trascinandola ai rigori (e, anche lì, Weghorst segnò).
Fu una partita da saloon con calci e spinte fuori dal contesto e dal regolamento, provocazioni continue. Weghorst, in Argentina e sul web, è rimasto quello di “Qué mirás bobo? Andá, andá pa’ allá” (“Cosa guardi scemo? Vai, fila via”), la frase detta da un Messi versione guappo intervistato a bordo campo a fine partita, mentre Weghorst – a suo dire – cercava semplicemente di avvicinarsi per stringergli la mano. Sembrava un caso l’improvviso momento di celebrità di Weghorst al Mondiale in Qatar, anche perché dopo tre ottime annate al Wolfsburg, aveva fallito al Burnley, in Inghilterra, e stava svernando in Turchia al Besiktas, prima di andare in prestito – a Mondiale concluso – al Manchester United, dove in campionato non segnerà mai. E invece oggi siamo qui a riparlarne per una questione di numeri e coincidenze che forse non possono più considerarsi tali.
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Weghorst e Messi al Mondiale in Qatar
Nel 2024 Weghorst ha realizzato 4 reti in Nazionale giocando solo 74 minuti, vale a dire un gol ogni 18 minuti e mezzo. Ha segnato in 4 gare su cinque, mancando la rete solo in quella con il coefficiente più alto, l’amichevole contro la Germania in Germania, dove ha avuto solo 18 minuti a disposizione.
In gol con la Scozia (entrando al 77’), in gol con il Canada (ingresso al 62’), in gol contro l’Islanda (entrato all’84’). Nelle competizioni internazionali a cui ha partecipato ha segnato 4 gol, tutti decisivi, calciando in porta solo 7 volte e giocando in tutto 264 minuti, meno di tre partite intere. Forse non più un caso.
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La capocciata decisiva di Charisteas a Euro 2004
Weghorst, dicevamo, l’abbiamo già visto in Qatar, ma non solo: agli Europei in Portogallo nel 2004 con la maglia della Grecia, a Italia ’90 con gli occhi spiritati, a Usa ’94 con la maglia della Russia. Weghorst non è altro che l’ultima reincarnazione dei bomber che bruciano e si bruciano in un attimo, quello in cui tutto il mondo li guarda.
E così, andando a ritroso, celebrando Weghorst, celebriamo Totò Schillaci, uno che sapeva segnare anche prima delle Notti Magiche, ma si perse prima per strada e poi in Giappone, ma anche Paolo Rossi, icona del calcio globale per sei gol in tre partite di Spagna ’82 (3 gol al Brasile, 2 alla Polonia, uno nella finale con la Germania Ovest). Mai un Pallone d’Oro è stato assegnato sulla base di così poche prestazioni.
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Totò Schillaci, giocatore-simbolo di Italia ’90
E poi c’è Oleg Salenko, autore di una quintupletta a Usa ’94 contro il Camerun; e a proposito di Camerun come non pensare a Roger Milla, che a ogni Mondiale ricompariva dal nulla sempre più vecchio, sempre in grado di fare gol. Per non parlare di Charisteas, il bomber della Grecia campione d’Europa 2004, alto quasi come Weghorst (1,91 il greco, 1,97 l’olandese), sgraziato come Weghorst (che è andato da un osteopata per migliorare la postura), decisivo anche più di Weghorst, visto che un suo gol valse la qualificazione ai quarti, un altro valse il titolo. Roba da patto col diavolo, i cui due maggiori esponenti sono Mario Götze, autore del gol che permise alla Germania di vincere il Mondiale 2014, e Éder, unico goleador di Portogallo-Francia, finale di Euro 2016. Il primo raggiunse l’apice a 22 anni e non si ritroverà mai davvero, come se quel gol l’avesse prosciugato del talento. Richiamato dopo una sola stagione decente per il Mondiale 2022, a mo’ di amuleto, si rivelò inservibile. A Éder andrà anche peggio: non entrerà mai nel giro del grande calcio, indosserà dopo quella finale solo sei volte la maglia della sua Nazionale e non giocherà mai più un Europeo e mai un Mondiale.
Anche la Svizzera, tempo fa, ha avuto il suo Weghorst. Si chiamava Leopold Kielholz: appena 17 gare, ma ben 12 reti con la maglia della Nazionale tra il 1933 e il 1938. Tre – di cui due decisive agli ottavi contro i Paesi Bassi – ai Mondiali del 1934, e sette nella Coppa Internazionale, una specie di antenata dell’Europeo in cui la Svizzera chiuse ultima, ma Kielholz vinse il titolo di capocannoniere.
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Il gol di Götze all’Argentina che valse un Mondiale