laR+ sedici euro

L’Europeo del Golden Goal e del bomber finito in Serie C

In Inghilterra, nel 1996, alcuni campioni mancano all’appello, altri non lasciano il segno. Vincono i tedeschi grazie al centravanti di scorta Bierhoff

Il colpo di testa di Bierhoff che rimette in parità la finale
(Keystone)
17 aprile 2024
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Per la prima volta, nel 1996, l’Europeo veniva finalmente organizzato da chi il calcio l’aveva inventato. Sembrava davvero tutto apparecchiato per la più grande edizione di sempre, anche per via del numero di partecipanti, che per la prima volta erano sedici, facendo somigliare la manifestazione continentale a un Mondiale. C’erano più campioni, più partite, più stadi, più tv, più pubblico, più tempo per gustarsi un torneo che avrebbe riempito un pezzo d’estate in più del solito. Insomma, c’erano grosse aspettative, al di là di quell’inno “Football’s Coming Home”, che – nato in quell’occasione e ritirato fuori tre anni fa per la finale di Euro 2021 tra Inghilterra e Italia – continua a portare un sfiga micidiale agli inglesi.

Euro ‘96 invece rimarrà per sempre un torneo di promesse spezzate, di eroi quasi per caso, come la finalista inattesa, la Repubblica Ceca, e il marcatore del gol che valse il titolo, il tedesco Oliver Bierhoff, uno che meno di un anno prima degli Europei (iniziati l’8 giugno 1996) era in campo nell’inutile partita di Serie B italiana tra Verona e Ascoli vinta 5-0 dai veneti. L’11 giugno 1995, era proprio lui il centravanti dell’Ascoli appena retrocesso in Serie C.


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Capitan Klinsmann alza la coppa

Nel giro di un anno, Bierhoff, venduto nel frattempo all’Udinese, cambiò il suo destino e anche quello della Germania: con 17 gol in 31 gare di Serie A, il centravanti convinse il ct tedesco Berti Vogts a trovargli un posto in rosa, sebbene come riserva. Fu una specie di fortunata opzione last minute, con l’esordio in Nazionale avvenuto a quasi 28 anni ad appena quattro mesi dal torneo continentale. Esploso tardi, Bierhoff dimostrerà (proprio a Udine e poi a Milan) di essere un signor giocatore, ma all’epoca era niente più che una mossa disperata di una Nazionale abituata a grandi attaccanti (Müller, Rummenigge, Völler) a cui, per una volta, mancava il talento offensivo.

Colui che diventerà l’uomo-copertina della manifestazione non era proprio la prima scelta, ma Roberto Baggio nemmeno c’era per via delle paturnie megalomani di Arrigo Sacchi, il francese Eric Cantona – che scontava ancora le conseguenze del calcio volante rifilato a un tifoso del Crystal Palace – era persona non grata, il suo erede Zinedine Zidane non era ancora esploso, Gheorghe Hagi era una stella cadente, il Pallone d’Oro del 1994 Hristo Stoichkov non era più lui, Dennis Bergkamp aveva una predisposizione per brillare ai Mondiali e il bomber Alan Shearer e quel mattoide di Paul Gascoigne (autore di un gol incredibile contro la Scozia) vennero inghiottiti – come tutta l’Inghilterra calcistica – dal rigore sbagliato in semifinale da Gareth Southgate (attuale commissario tecnico inglese), proprio contro i tedeschi.


Bulgaria-Francia con Stoichkov, Desailly e Lizarazu

Non è tutto oro quel che luccica

Insomma, quell’Europeo era un negozio imbellettato di Regent Street in cui entravi per ritrovarti al mercatino di Camden Road, divertente, anche di più per certi versi, ma non la stessa cosa: perché se mi proponi gioielli e poi alla cassa mi ritrovo con la bigiotteria, la sensazione di fregatura resta. Come sa di fregatura il Pallone d’Oro consegnato a fine anno al totem difensivo della Germania campione, Matthias Sammer, forse il vincitore più contestato di sempre (certificando però l’assenza di una vera stella agli Europei).

D’oro – si capirà subito (anche se ci si metterà un po’ di tempo a disfarsene) – non era nemmeno il “Golden Goal”, che proprio a quegli Europei faceva il suo esordio come soluzione a tutti i mali dei tempi supplementari, giocati il più delle volte trascinandosi in attesa dei rigori. Con il “Golden Goal”, se segnavi la partita finiva all’istante. La Fifa, nel proporlo, si era immaginata che tutti andassero all’attacco: successe quasi sempre il contrario, con le squadre impaurite, che difendevano ancora di più.


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Gareth Southgate si mette le mani sulla testa dopo il suo errore decisivo dal dischetto

Il “gol d’oro” – nome preferito a quello iniziale, “Sudden Death” (“Morte improvvisa) per via di una connotazione più positiva e meno macabra – decise Euro ‘96 e anche la finale dell’edizione successiva per poi sparire per sempre dopo un breve interregno del “Silver Goal”, una specie di via di mezzo in cui la partita non finiva immediatamente con il gol, ma alla fine del tempo supplementare in cui la rete veniva realizzata.

Il rigore di Kubi

Tra ciò che aveva inizialmente luccicato per poi rivelarsi tutt’altro che d’oro ci fu anche la Svizzera (alla prima partecipazione), che nella gara inaugurale del torneo, a Wembley, contro i padroni casa dell’Inghilterra, riuscì a strappare un pareggio grazie a un rigore di Kubilay Türkyilmaz a sei minuti dalla fine. Gli elvetici si sciolsero completamente contro i Paesi Bassi (0-2) per poi perdere anche l’ultima gara del girone contro la non irresistibile Scozia (0-1).


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Il rigore di Türkyilmaz contro l’Inghilterra

L’Inghilterra invece dopo il pareggio iniziale vola grazie alle reti di Shearer (capocannoniere del torneo con 5 reti), battendo ai rigori la Spagna nei quarti di finale. I tedeschi questa volta non sembrano irresistibili, ma nemmeno andare in vantaggio dopo tre minuti basterà.

Da Praga con furore

La finale è così una strana riedizione di quella giocata nel 1976, solo che chi era intero si presenta a metà e viceversa: Cecoslovacchia- Germania Ovest vent’anni dopo diventa Repubblica Ceca (senza Slovacchia dal 1992)-Germania. In mezzo nel frattempo è passata la Storia con la S maiuscola.

Le due squadre si erano già affrontate nel girone eliminatorio, in cui c’erano anche l’Italia - vice campione del mondo nonché una delle grandi favorite della vigilia – e la Russia. I cechi avrebbero dovuto essere la vittima sacrificale: e in quelle vesti esordirono, schiantati in meno di meno di mezz’ora dai tedeschi. L’Italia però fece harakiri nella seconda partita schierando quasi tutte le riserve, preservando i titolari per la sfida con la Germania. I calcoli di Sacchi furono sballati: la Repubblica Ceca batte l’Italia e pareggia 3-3 con i russi all’ultimo secondo, mentre gli azzurri sprecano l’ultimo match-ball quando Zola calcia un rigore in bocca al portiere tedesco Köpke.


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Il rigore sbagliato da Zola con la Germania che condanna l’Italia a una prematura uscita

Con la Repubblica Ceca finita nello stesso lato del tabellone di Portogallo, Francia e Paesi Bassi, nessuno pensa che la partita con la Germania possa giocarsi ancora. Invece i cechi battono prima il Portogallo (1-0) e poi la Francia ai rigori mettendo in mostra i suoi talenti, tre in particolare: Karel Poborsky dello Slavia Praga (che a fine Europeo andrà al Manchester United), Pavel Nedved dello Sparta Praga (e da lì alla Lazio di Cragnotti) e Patrik Berger del Borussia Dortmund (destinazione Liverpool).

Outsider batte outsider

L’inerzia della finale a cui nessuno pensava di assistere è dalla parte della Repubblica Ceca, che va in vantaggio al 59’ con un rigore trasformato da Berger. Ma al 69’ Vogts si ricorda di avere in panchina l’ex centravanti dell’Ascoli retrocesso in Serie C.

Bierhoff aveva giocato sette minuti (al posto di Kuntz) contro i cechi nei gironi e poi da titolare contro la Russia. Non era sceso in campo contro l’Italia, né durante i quarti di finale contro la Croazia né nella semifinale con gli inglesi. Ma i cechi vanno contrastati sulle palle alte e Bierhoff pare la carta migliore: sarà quella vincente. Dopo appena quattro minuti dall’ingresso in campo, il numero 20 corre verso il secondo palo e sfrutta una punizione di Möller: 1-1.


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Pavel Nedved e Karel Poborsky, eroi della Repubblica Ceca

Si va ai supplementari, che durano appena cinque minuti: Bierhoff, ancora lui, sovrasta di testa il centrale ceco Karel Rada, e fa arrivare la palla al suo capitano Klinsmann, che gliela restituisce in area. Spalle alla porta, il centravanti si appoggia sul marcatore, si gira e poi calcia: un tiro non irresistibile, deviato da un difensore, su cui il portiere Kouba interviene in modo goffo, con le mani molli, semi-aperte. La palla sbatte lentamente sul palo e rotola in porta: è il primo Golden Goal della storia (il secondo se si calcola anche la finale dell’Europeo Under 21 del 1994 vinto dall’Italia sul Portogallo).

La partita finisce lì. Kouba si dondola stordito guarda il pallone in rete con l’aria di uno che non ha capito davvero come funziona, mentre nei primi secondi i tedeschi sembrano quasi incerti sul da farsi: sanno che possono – devono – esultare, ma è come se non avessero capito quanto. È il Golden Goal, bellezza. Anzi, era. Per fortuna.

Questa è la decima di sedici puntate sulla storia degli Europei di calcio che ci accompagnerà fino alla vigilia di Germania 2024.