Nell’Europeo itinerante che festeggiava i 60 anni della manifestazione, tante vittorie inattese e il grande spavento per Eriksen, collassato sul campo
Era stato pensato come un’edizione straordinaria e così è stato, pure troppo. Nel bene e nel male, a tal punto che Euro 2020 alla fine è diventato Euro 2021. I primi Europei di calcio itineranti della storia (idea dell’ex presidente dell’Uefa, Michel Platini, per festeggiare i 60 anni dall’edizione inaugurale, giocata in Francia e vinta dall’Urss) dovevano muoversi nello spazio – tra dieci Paesi e undici stadi – e invece si sono mossi innanzitutto nel tempo, ritardati di un anno dalla pandemia.
Europei iniziati dentro a un traboccante ed euforico Olimpico di Roma, dove l’Italia – che dopo aver fallito la qualificazione ai Mondiali 2018 non partiva tra le favorite (davanti agli azzurri i bookmaker mettevano Francia, Inghilterra, Belgio, Spagna, i campioni in carica del Portogallo, Germania e Paesi Bassi) – sconfisse 3-0 una delle più grandi delusioni del torneo, la Turchia.
Sembrava l’inizio di una grande festa paneuropea (c’era, sia tra le nazioni ospitanti sia tra le partecipanti, anche la Russia, esclusa pochi mesi dopo dalle competizioni internazionali in seguito all’invasione dell’Ucraina). Il giorno successivo, però, si sfiora la tragedia, quando nel pomeriggio, al 43’ minuto di Danimarca-Finlandia, il danese Christian Eriksen crolla di colpo a terra, privo di sensi. Si capisce subito la gravità della situazione, le telecamere bloccano i replay di quel corpo che all’improvviso sembra svuotato dopo esserci accasciato sul campo di gioco. Nei momenti di massima tensione, quando si inizia a pensare che per Eriksen ci siano poche speranze, emerge una delle immagini più potenti dell’Europeo, talmente potente da non aver nemmeno bisogno del pallone: è la squadra danese che si riunisce attorno al compagno di squadra mettendosi in cerchio, per dare spazio ai soccorritori e per isolare dal resto del mondo un uomo che in quel momento, per quanto si intuisce, sta morendo.
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I giocatori danesi a protezione del compagno Eriksen dopo il malore
Quella barriera di maglie biancorosse restituiva una parvenza di intimità e umanità a un fatto privato esposto e – per via del contesto e della sovrabbondanza di telecamere – entrato a forza nelle case di centinaia di milioni di persone in tutto il mondo.
Eriksen, che era crollato per via di un arresto cardiaco, si riprenderà a tal punto da tornare prima ad allenarsi (inizialmente a Chiasso e poi in Olanda) e sei mesi dopo addirittura a giocare in Premier League, nel Brentford. Un epilogo tutt’altro che scontato quel pomeriggio, quando i compagni di squadra – ancora visibilmente sotto choc – si arresero per 1-0 a un’altra nazionale nordica, la Finlandia, al suo esordio agli Europei. Quella sconfitta, unita alla tragedia sfiorata di Eriksen, sembrava mettere fine al torneo dei danesi ancor prima che iniziasse, invece la squadra, pur guadagnando il pass per gli ottavi solamente all’ultima gara disponibile, si rivelerà una delle grandi sorprese arrivando a contendere l’ingresso in finale agli inglesi – sul loro campo storico, Wembley – arrendendosi soltanto ai tempi supplementari.
Per eliminare i danesi ci vorrà un rigore (molto dubbio) calciato da Kane e parato da Kasper Schmeichel (figlio di Peter, il portiere-eroe della Danimarca campione del 1992, che nella sua semifinale parò un rigore nientemeno che a Van Basten): la palla però torna sui piedi di Kane che segna e porta gli inglesi in finale, ormai convinti che questa sia la volta buona, con tanto di inno portasfiga “It’s coming home”, ripreso da Euro ’96, il torneo casalingo finito con una sconfitta ai rigori in semifinale contro i tedeschi. A tirare e sbagliare il penalty decisivo in quell’occasione, sempre a Wembley, fu Gareth Southgate, all’epoca calciatore e nel 2021 (e anche oggi) Ct dell’Inghilterra. Ma per parlare di inglesi e rigori maledetti c’è tempo.
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Kane segna alla Danimarca il gol che porta l’Inghilterra in finale
Mentre a Copenaghen si assisteva attoniti al dramma di Eriksen, a Baku la Svizzera di Petkovic pareggiava 1-1 con il Galles una partita sottotono e che non faceva presagire nulla di buono per le gare a venire: unico lampo, il momentaneo vantaggio di Embolo. Quando quattro giorni più tardi, a Roma, la Svizzera prende tre gol dall’Italia, la frittata sembra fatta.
Per passare il turno serve una vittoria contro la Turchia, e nemmeno vincendo si sarebbe sicuri del passaggio del turno, visto che si finirebbe dentro al pallottoliere delle migliori terze (quattro passano, due tornano a casa). Il 3-1 alla Turchia è salutato con molto sollievo e poco entusiasmo, ma gli ottavi di finale sono stati raggiunti: il problema è l’avversario, i campioni del Mondo della Francia, usciti primi da un girone già complicato di suo, con Germania e Portogallo, reso ancor più complicato dall’Ungheria, la squadra che doveva essere l’agnello sacrificale e che invece, a sei minuti dalla fine dei gironi, si stava qualificando ai danni dei tedeschi.
Gli ottavi iniziano con una conferma, il Belgio – che elimina il Portogallo – e una sorpresa, la Repubblica Ceca, che regola 2-0 i Paesi Bassi usciti dal girone con tre vittorie su tre: a segno va Patrik Schick, l’ex oggetto misterioso della Roma che a fine torneo diventa capocannoniere (5 reti, insieme a Cristiano Ronaldo) e che – nella fase a gruppi – aveva segnato un sensazionale gol da centrocampo contro la Scozia poi votato il più bello di tutto l’Europeo.
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Il portiere scozzese insegue la palla calciata da Schick, il gol più bello degli Europei
L’Italia, che aveva riguadagnato certezze e considerazione dopo un girone dominato senza subire reti, è invece a un passo dall’eliminazione quando Arnautovic segna a pochi minuti dal novantesimo: il gol viene annullato per un fuorigioco che in tempi pre-Var non sarebbe mai stato visto. Ma per arrivare in fondo ci vuole anche fortuna, e l’Italia ce l’ha, vincendo 2-1 ai supplementari.
La giornata successiva si apre con uno scoppiettante 5-3 della Spagna – diventata la nuova favorita – alla Croazia. In serata si gioca Francia-Svizzera, una gara con un epilogo che pareva già scritto e che nemmeno il gol di Seferovic dopo 15 minuti sembrava poter cambiare. Infatti al 75’, quando segna Pogba – che quasi non esulta, come se fosse ordinaria amministrazione – la Francia è già alla terza rete. Finita? No. Seferovic segna ancora e al novantesimo pareggia il ticinese dei Balcani Gavranovic. Simbolo della rimonta, sugli schermi tv, sarà un ignoto tifoso sugli spalti, che, inquadrato sul 3-2, sembrava uno a cui avevano appena rubato il portafoglio, e un momento dopo, sul 3-3, sembrava Hulk appesantito dalla dieta svizzera.
Ai rigori sbaglia solo Mbappé, fermato da uno dei portieri fino a quel momento più sottovalutati d’Europa, Yann Sommer, che trova finalmente un posto al sole. A quel punto, con l’entusiasmo e l’energia degli scampati a un disastro, la Svizzera (che per la prima volta ha passato un turno a eliminazione diretta in una manifestazione internazionale dal 1934) affronta la Spagna arrivando a risponderle colpo su colpo, nonostante un autogol dopo soli 8 minuti. Pareggia Shaqiri e la seconda rete resta nell’aria, ma non arriva (nonostante l’espulsione – esagerata – di Freuler). I rigoristi infallibili della serie con la Francia sono gli stessi, nello stesso ordine, ma non ci sono più: dei quattro andati sul dischetto, solo Gavranovic si ripete. Passa la Spagna, ma c’è mancato davvero poco a un’altra grande impresa.
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La festa dopo la vittoria sulla Francia
In semifinale è quindi Italia-Spagna, un classico: una gara che sembra debba esserci per forza agli Europei, visto che è dal 2008 che le due squadre si affrontano a ogni edizione (nel 2012 addirittura due volte), compresa la prossima. Dominano gli spagnoli, vincono ai rigori gli azzurri, che in finale trovano – come detto – l’Inghilterra, passata con l’aiutino contro i danesi.
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La disperazione di due tifosi inglesi dopo la finale
A Wembley sembra tutto apparecchiato per gli inglesi e per un remake della Coppa del Mondo del 1966 (con l’aiutino, anzi aiutone in finale contro i tedeschi, il famoso gol di Hurst che in realtà non ha mai superato il riga), ma l’Italia vive il suo mese di grazia: nemmeno un gol dopo due minuti, segnato da Shaw, piega gli azzurri, che rientrano in partita e pareggiano con Bonucci. Gli inglesi protestano per la famosa trattenuta di Chiellini su Saka, un intervento da cartone animato, con la maglia dell’attaccante che si allunga a dismisura: un momento cristallizzato che diventata meme, storia dell’Europeo e – a seconda di chi la vede – simbolo della cattiveria del giocatore italiano e del catenaccio (che però l’Italia di Mancini non ha fatto) oppure espressione dell’arte del difendersi con astuzia e del non mollare mai. Arrivati ai rigori, Southgate sceglie una via rischiosa, che prevede l’ingresso in campo a pochi secondi dalla fine dei supplementari di due tiratori su cinque, entrambi – insieme al terzo subentrato Saka – sbaglieranno dal dischetto. Come ha deciso? Si scoprirà che gliel’ha detto un algoritmo.
Gli azzurri invece si affidano a Donnarumma, che nemmeno si accorge di fare la parata decisiva e torna al suo posto mentre gli altri corrono verso di lui a festeggiare e il ct Mancini abbraccia in lacrime il suo ex gemello del gol Gianluca Vialli.
Sembrava l’inizio di un periodo luminoso per l’Italia, che invece si incarta poco dopo, nelle qualificazioni mondiali: Jorginho si fa ipnotizzare due volte da Sommer, poi la Macedonia del Nord completa l’opera nei playoff: niente Mondiale. Di nuovo. Resta nell’aria una domanda, che vale per italiani, inglesi, svizzeri. Insomma, tutti. Meglio esserci sempre e non vincere mai o saltare un giro o due e quando ci sei alzare una coppa?
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L’Italia festeggia il suo secondo titolo europeo
Questa è l’ultima di sedici puntate sulla storia degli Europei di calcio, la rubrica di avvicinamento a Euro 2024, che inizierà il 14 giugno