Il 1972 consacrò il centravanti tedesco, capocannoniere dell’Europeo vinto dalla Germania Ovest. Nell’arco di quei dodici mesi segnò 85 volte in 60 gare
Era l’anno del Watergate per gli americani e del topo d’acqua per i cinesi. Era già l’anno del Bloody Sunday irlandese e sarebbe diventato quello di Settembre Nero, la cellula terroristica palestinese che tenne in ostaggio per due giorni alcuni atleti israeliani, le Olimpiadi di Monaco e il mondo tutto. Ed era anche l’anno di un ex ragazzotto di campagna che proprio a Monaco si era fatto uomo e campione fino a guadagnarsi un soprannome semplice e definitivo, “Der Bomber”. Era anche l’anno più lungo della storia, per una questione di secondi, due per l’esattezza. Il 1972, infatti, oltre a essere bisestile, era diventato il primo (e finora l’unico) a cui gli scienziati, per amor di precisione, aggiunsero due secondi, uno il 30 giugno e l’altro il 31 dicembre. Dal 1973 a oggi ne sono stati aggiunti altri 25 (l’ultimo nel 2016), ma mai più due nello stesso anno. Questa bizzarria calcolata si chiama “secondo intercalare” e serve per riequilibrare a distanza tra il cosiddetto Utc (il tempo coordinato universale) e il giorno solare.
Se qualcuno si stesse chiedendo che fine hanno fatto quei due secondi del 1972, è possibile che se li sia presi l’ex ragazzotto di cui sopra, “Der Bomber”, al secolo Gerd Müller, uno che quando credevi di essere arrivato sul pallone, il pallone non c’era più. E se eri un difensore, per ritrovarlo dovevi guardare nella tua porta. Nell’anno di grazia – e secondi extra – 1972, il centravanti tedesco segnò 85 reti in 60 partite, con una media gol insensata (1,41 gol a partita). Negli anni lo supererà solo un certo Leo Messi, al Barcellona, con 91 gol, ma in 69 partite (nove in più, non un dettaglio, infatti la sua media gol è più bassa: 1,32).
Keystone
In gol da terra
Parlare di numeri, quando si parla di Gerd Müller, è fondamentale perché sono incontestabili e perché sono talmente fuori misura da sembrare sbagliati. Senza dimenticare che in quegli anni – rispetto a oggi – si giocava un calcio molto più difensivo, con regole decisamente meno favorevoli agli attaccanti. I numeri, quindi: 735 reti ufficiali in 793 partite, 566 goal in 607 gare con la maglia del Bayern Monaco, 365 reti in 427 partite in Bundesliga (ancora oggi miglior cannoniere, con 53 gol in più di Robert Lewandowski, e la miglior media: 0,85 gol a gara), 65 gol nelle coppe europee (in 74 presenze). Sul sito della Bundesliga, che conteggia anche partite non ufficiali, compare un numero ancora più mostruoso: 1’251 gol in 998 presenze con la maglia del Bayern, con cui ha vinto quattro campionati, quattro coppe di Germania, tre Coppe dei Campioni, una Coppa delle Coppe e una Coppa Intercontinentale.
A rischio di essere noiosi, Müller è uno dei due giocatori (l’altro è, guarda un po’, Messi) ad aver vinto il Mondiale, il Pallone d’oro (nel 1970), la Scarpa d’Oro (il premio per il miglior marcatore d’Europa, nel 1970 e nel 1972) e la Coppa Campioni/Champions League.
Il centravanti tedesco è anche stato il primo (lo seguirà nel nuovo millennio lo spagnolo David Villa) del calcio moderno a diventare capocannoniere sia di un Mondiale (10 gol in 6 gare a Messico ‘70, con due triplette consecutive a Bulgaria e Perù e una doppietta con l’Italia all’Azteca, offuscata dal 4-3 finale per gli Azzurri) che di un Europeo, proprio nell’edizione del 1972 vinta dai tedeschi per 3-0 contro l’Urss: in quella partita Müller segnò due reti; altre due le aveva segnate nella semifinale contro il Belgio.
Tanto per non farsi mancare niente, “Der Bomber” era stato il più prolifico anche nelle Qualificazioni alla fase finale con sette reti. Segnerà il gol decisivo anche nella finale della Coppa del Mondo del 1974, giocata in casa contro l’Olanda, per poi ritirarsi dalla Nazionale a soli 28 anni. Continuò a giocare per il suo Bayern Monaco (in cui era arrivato nel 1964 con la squadra in seconda divisione e una bacheca semivuota) e poi – abbassandosi leggermente la media gol – per tre anni nei Fort Lauderdale Strikers, nella Nasl, la rampante lega americana di Pelé e dell’amico ed ex compagno Franz Beckenbauer, dio pagano del calcio tedesco, che di Müller disse: “Era il più forte. Senza di lui, il Bayern non sarebbe diventato quel che è”.
I numeri, quindi: detti. I trofei: elencati (e nemmeno tutti). Ma non si renderebbe giustizia a Müller senza parlare dei suoi gol, che uno immagina tutti segnati a pochi metri dalla porta, sfruttando il suo innato fiuto e i passaggi di due squadre, il Bayern e la Germania degli anni Settanta, tra le più forti di sempre. Però no, non è solo questo. Müller, sgraziato e poco elegante in campo (col fisico tozzo, a tal punto che il suo primo allenatore al Bayern, Zlatko Čajkovski, chiese cosa doveva farci con “questo tizio che sembra uno buono per il sollevamento pesi”), aveva una tecnica applicata al tiro che forse non è mai più stata eguagliata, nemmeno dai tanto decantati campioni di oggi.
Keystone
In volo durante la finale di Coppa Campioni tra Bayern e Atletico Madrid
Il tedesco aveva sempre una soluzione per tutto, di destro, di sinistro, di testa, nonostante il suo metro e 76 d’altezza, non proprio un corazziere. Se si va su Yotube e si fa partire una compilation delle sue reti, a stupire è l’infinita varietà di soluzioni che trova a un problema semplice, ma complesso: come buttarla dentro. E se serve una deviazione brutta, sporca e cattiva, si fa quella, ma se serve un tiro chirurgico a un millimetro al palo, nessun problema.
La sua capacità nel proteggere la palla, prendere in controtempo difesa e portiere, trovare la posizione in area è quella di uno che davvero sapeva già tutto un paio di secondi prima. In due gol simili, segnati al Mondiale messicano con Marocco e Inghilterra (che in porta non aveva il mitico Gordon Banks, ma la sua riserva Peter Bonetti, figlio di ticinesi), Müller intercetta la palla dopo che ha sorvolato due volte la porta: fa sembrare tutto così semplice da far passare per scemi portiere e difensori, che sembrano quelli dei videogiochi quando s’impallano.
C’è anche una rete in cui, con il sedere letteralmente per terra, stoppa con il destro, si gira su se stesso, si allunga la palla col sinistro e poi calcia come se fosse in piedi. In alcuni suoi gol di testa, dove sembra uno che arriva in volo sparato da una fionda, capisci che segnerà ancora prima che colpisca la palla.
Keystone
In acrobazia, una delle specialità della casa
Gli inglesi, quelli come lui li chiamano “poacher”, letteralmente bracconieri, cacciatori di frodo: insomma, gente che deve stare nell’ombra e poi comparire al momento giusto. E nei boschi o nella savana puoi farlo, ma in un campo di calcio no. Eppure succedeva proprio così: un cross, un passaggio, un’area piena di difensori pronti a spazzare e all’improvviso la palla che finisce in porta. In alcuni video devi aspettare il replay per capire chi ha segnato e come. E comunque, alla fine, era sempre Müller. Successe più o meno la stessa cosa anche nel suo gol che aprì le marcature della finale di Euro ’72 con i sovietici: un tiro di Günter Netzer sbatte sull’incrocio dei pali, un difensore rinvia di testa verso Jupp Heynckes che stoppa e calcia potente di controbalzo, il portiere ribatte davanti a quattro sovietici, tutti anticipati da Müller, che aggiusta di petto e segna, mentre un difensore si va a schiantare sul portiere. Finirà 3-0, con un altro gol del centravanti a suggellare una stagione perfetta, iniziata però malissimo per lui, un po’ come era finita – almeno agli occhi di Müller – quella precedente, terminata con un secondo posto in Bundesliga per il Bayern e un secondo posto nella classifica marcatori per lui (che aveva dominato le due precedenti edizioni e in totale ne vincerà sette, record ancora imbattuto), a due reti da Lothar Kobluhn dell’Oberhausen.
Il giorno del raduno della stagione ’71-72, Müller si presentò in forma come non mai, deciso a riprendersi tutto, a livello personale e di squadra. Qualcosa però – a dispetto delle aspettative, della dieta e degli allenamenti extra – non funzionò: nei due anni precedenti aveva fatto più gol che partite, in quella fine estate del 1971 – invece – aveva segnato solo un gol dei primi dodici del Bayern, sbagliando anche due rigori. Dopo dieci giornate, le reti erano solo quattro.
Keystone
La statua che lo celebra davanti all’Allianz Stadium
All’undicesima giornata si sblocca definitivamente con una doppietta all’Hannover; nei turni successivi ne fa due al Duisburg e tre all’Amburgo. Quando all’Olympiastadion arriva il Borussia Dortmund la partita finisce 11-1 (ancora oggi la vittoria più larga della storia della Bundesliga): di quegli 11 gol, quattro sono suoi. Non si fermerà più sino all’Europeo, segnando quattro volte anche ai sovietici in un’amichevole giocata il 26 maggio a Monaco e vinta 4-1. Tre settimane dopo le due squadre si ritrovano in finale a Euro ’72 e Müller, con la sua doppietta, risponderà indirettamente anche alla domanda del suo ex allenatore Čajkovski. Chi meglio di un sollevatore di pesi per alzare tutti quei trofei?
Questa è la quarta di sedici puntate sulla storia degli Europei di calcio che ci accompagnerà fino alla vigilia di Germania 2024.