Neopromosse d'Europa/6

Ritorna il maggior derby di Bucarest

Dopo un solo anno di purgatorio, la Dinamo ritrova la massima serie e l’arcirivale Steaua, che ha un passato glorioso ai massimi livelli europei

In sintesi:
  • Antica e acerrima è la rivalità fra Steaua e Dinamo, le più importanti squadre di Bucarest
  • Espressione degli apparati del potere ai tempi del comunismo, ora i club rumeni devono invece essere privati
25 agosto 2023
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Chissà cosa avranno pensato i tifosi della Dinamo Bucarest, al termine del campionato 2021-2022, quando hanno visto la loro squadra del cuore retrocedere nel torneo cadetto. Qualcuno sarà scoppiato in lacrime, altri in un primo momento avranno ritenuto impossibile – e dunque falsa – la notizia che avevano appena ricevuto. La maggioranza, c’è da scommettere, avrà eruttato imprecazioni e bestemmie sufficienti a delegittimare i santi di due o tre religioni diverse.

Erano del resto devastati, e andavano capiti: mai era infatti successo che al club biancorosso toccasse di abbandonare la massima serie rumena, campionato che aveva frequentato fin dal 1948, anno della sua sbrigativa e non del tutto trasparente fondazione: il Ministero dell’interno prese l’Unirea Tricolor e le tolse il nome per affibbiargli quello di Dinamo Bucarest.

E poi, affinché la nuova squadra potesse prender parte al massimo campionato, semplicemente buttò fuori dal torneo il Ciocanul Bucarest, del quale la formazione neonata prese il posto. Così, del resto, funzionavano le cose a quei tempi, in quelle terre cadute sotto il totalitarismo socialista.

Metodi spicci

Quasi da subito, grazie all’apporto di forti giocatori che il Ministero dell’interno razziava nelle campagne ma pure nella maggior parte delle altre squadre della massima serie, la Dinamo iniziò a stravincere campionati e Coppe nazionali, giungendo a rivaleggiare con la Steaua, altra compagine della capitale, che fin lì aveva dominato il calcio nazionale, che era invece di proprietà dell’esercito e nei confronti della quale, ovviamente, si instaurò una delle più feroci rivalità pallonare che la storia umana ricordi: sia in campo, sia sugli spalti, sia – soprattutto – ai vertici della politica statale.

Dalla fine degli anni 50, con l’invenzione delle Coppe europee per club, la competizione fra le due compagini di Bucarest divenne ancor più esasperata: oltre al prestigio in patria, infatti, ora si trattava di tenere alto all’estero – specie nel mondo occidentale e capitalista – l’onore di tutto il Paese e addirittura dell’intero Blocco socialista.

E va ammesso che, in questa missione, a distinguersi maggiormente – almeno all’inizio – furono proprio i Cani Rossi (soprannome dei giocatori della Dinamo, per via dell’animale che occupa il logo sociale), che pur non riuscendo a conquistare alcun trofeo continentale, furono comunque in grado di fare lo scalpo a nomi altisonanti del football capitalista.

A uscire sconfitti da gare contro la Dinamo, infatti, furono ad esempio l’Inter, il Real Madrid, i suoi cugini dell’Atletico e l’Eintracht, club tedesco che fu tra i primi finalisti della Coppa dei Campioni.

In quella Dinamo, a mettersi maggiormente in luce – e scusate il gioco di parole – fu l’attaccante Dudu Georgescu, vincitore della Scarpa d’oro nel ’75 e nel ’77. Di lui si innamorò proprio il Real, che gli fece offerte da sogno, ma il tiranno Ceausescu gli proibì di espatriare, soprattutto in Spagna, dove a comandare erano ancora i Franchisti, nemici giurati di chi aveva aderito al Patto di Varsavia.

La vendetta della Steaua, che in quegli anni si era limitata a rimpinguare il proprio palmarès fra i patrii confini, ma che in Europa non era riuscita a lasciare il segno – arrivò soltanto verso la metà degli anni 80 –, e si consumò – vedrete – come i suoi tifosi meglio non avrebbero potuto immaginare.

La Dinamo, nella primavera del 1984, era giunta addirittura fino alla semifinale di Coppa dei Campioni: il Liverpool alla fine ebbe la meglio, ma il risultato colto era comunque ultra prestigioso, qualcosa che Oltrecortina pochissime squadre erano state capaci di raggiungere. E, dunque, per fare di meglio, alla Steaua restava ben poco da inventarsi, se non buttarsi a capofitto nella caccia alla finalissima.


Keystone
Il portiere dei record

Il miracolo di Siviglia

E, soltanto due anni più tardi, l’intero continente assistette a un miracolo sportivo che davvero non aveva mai avuto precedenti. Il 7 maggio del 1986, sull’erba del Sánchez-Pizjuán di Siviglia, gli underdog rumeni – con Balint, Boloni, Lacatus e Belodedici – riuscirono ad arrivare dove nessuna squadra del cosiddetto Blocco sovietico era mai riuscita nemmeno ad avvicinarsi. In uno stadio ricolmo soltanto di tifosi del Barcellona e dopo 120 minuti di gioco risoltisi senza alcun gol, quell’Armata Brancaleone venuta dall’Est su cui nessuno avrebbe puntato né una pesata né un lei finì per imporsi ai calci di rigore e ad alzare al cielo la Coppa dalle grandi orecchie.

Merito del suo portiere – Helmuth Duckadam –, l’unico nella storia della finale di Coppacampioni capace di neutralizzare tutti e quattro i tiri dal dischetto calciati dagli avversari. A farsi ipnotizzare furono Alexanko, Pedraza, Pichi Alonso e Marcos Peña. In quella squadra c’erano anche il tedesco Schuster, lo scozzese Archibald e il futuro doriano Victor Muñoz.

Alla maniera dei Soprano

Il ragazzo divenne un eroe nazionale, ma la sua carriera misteriosamente s’interruppe già l’anno seguente. Qualcuno dice che fu vittima di una fulminante trombosi a quelle sue mani prodigiose. I più maliziosi, invece, sostengono che a fargli spezzare le dita fu Valentin Ceausescu, figlio del dittatore, che in quel modo volle punire il portierone per essersi rifiutato di consegnargli la Mercedes nuova fiammante che il Real Madrid gli aveva fatto recapitare in dono per aver impedito agli arcirivali del Barcellona di vincere la loro prima Coppa dei Campioni.

La verità, come spesso succede parlando di quei tempi e di quei Paesi, non salterà mai fuori. La sola cosa certa è che quella Steaua, da tutti ritenuta soltanto una meravigliosa meteora, in realtà era una squadra vera, tanto che, tre anni più tardi, arrivò a giocarsi un’altra finale di Coppa dei Campioni, di nuovo in Spagna, stavolta proprio a Barcellona. A portarsi a casa il trofeo, però, fu il Milan di Sacchi, Van Basten e Gullit, che sommerse i rumeni 4-0.

Pochi mesi più tardi, il popolo rumeno rovesciò e giustiziò il suo despota, e la Romania, come tutto il Blocco dell’Est – coi muri che venivano abbattuti – sarà del tutto rivoluzionata. Calcio compreso, che ci mise moltissimi anni prima di riproporre qualcosa di buono a livello internazionale.

La retrocessione

La Dinamo Bucarest, dopo decenni di avventure più o meno felici all’interno del massimo campionato rumeno, nella primavera del 2022 – come dicevamo in apertura di pagina – è retrocessa per la prima volta nella serie cadetta. Il purgatorio, ad ogni modo, è durato un solo anno: lo scorso mese di maggio, infatti, è già arrivata la promozione che la riporta nell’olimpo nazionale.

Ma non senza una curiosità degna di nota: nella Serie B rumena, ad essere promosse nella massima serie sono le prime tre squadre della classifica, ma la Dinamo è salita pur avendo chiuso il torneo al quarto posto. Come mai? Perché la Steaua Bucarest – giunta seconda – per regolamento non ha il diritto di fare il salto di categoria. Perché, ancora oggi, è di proprietà dell’esercito, quindi statale, mentre alla Superliga possono prender parte solo club per statuto privati e professionistici.

Clonazione illegale

Ma la Steaua Bucarest in questione, iscritta appunto alla serie cadetta, di quel glorioso club di cui abbiamo finora narrato porta in realtà soltanto il nome. L’esercito rumeno, contrario alla privatizzazione messa in atto fra il 2014 e il 2017, chiese e ottenne la proprietà sul marchio e sul nome del club, ma gli fu negato ogni diritto sui giocatori che lo componevano, i quali continuarono a disputare il massimo campionato sotto un altro nome, quello di Fotbal Club Fcsb (nel quale è comunque facilmente riconoscibile l’antica matrice).

I militari, invece, fondarono una squadretta di quinta serie e le diedero il nome e il marchio che furono della squadra più vincente del calcio rumeno. I colonnelli, scalata con la nuova squadretta qualche categoria con alcune promozioni ravvicinate fino ad arrivare come detto alla cadetteria, cercarono di metter le mani pure sui diritti relativi ai trofei vinti nel passato, nel tentativo di appropriarsi di un ricchissimo palmarès, abbellito fra l’altro della famosa Cappacampioni dell’86.

Ma non c’è stato nulla da fare: Uefa e Federazione rumena hanno assegnato la bacheca – giustamente – al Fotbal Club Fcsb, che il suo posto nel massimo campionato – dove come detto ha da poco ritrovato l’arcirivale Dinamo – non lo ha mai perso.


Dudu Georgescu, 2 volte Scarpa d’oro