Il presidente dei bernesi, avversari giovedì del Lugano in Coppa: ‘Siamo la squadra di rango inferiore, non abbiamo nulla da perdere’
Thun-Lugano è un intreccio di Coppa che ha un precedente recente, quel 3-2 a favore dei bernesi datato 28 febbraio 2019 nei quarti di finale di un’edizione che vide i biancorossi meritarsi la finale poi persa 2-1 contro il Basilea. È inevitabile che, a poche ore da una replica tutta da scoprire in calendario domani sempre alla Stockhorn Arena, il pensiero torni a quella sfida: Salanovic andò a segno per i padroni di casa, Covilo realizzò l’1-1 con cui si chiuse il primo tempo. Sutter e Sorgic firmarono l’allungo dei bernesi, al quale replicò in chiusura di partita l’austriaco Janko con l’inutile sigillo del 2-3. Un’eliminazione molto amara per il Lugano, più forte dei locali ma un tantino sorpreso dallo spirito battagliero di una compagine che sullo slancio seppe poi andare in finale. Un’occasione persa, per il Lugano; la prova che in Coppa nulla è scontato, per la squadra dell’Oberland, che però oggi milita in Challenge League, dopo aver trascorso con successo dieci anni nella massima serie, tra il 2010 e il 2020.
I bianconeri saranno animati dallo spirito di rivalsa di chi intende riprendersi ciò che tre anni fa lasciò sul campo della Stockhorn Arena, non senza rimpianti. Il Thun, dal canto suo, conta sul fattore campo per fare un secondo sgambetto ravvicinato a una compagine che è però una lontana parente di quella che nel 2019 fa si fece sorprendere. «Ammetto di non ricordare bene quella partita» esordisce Andres Gerber, ex giocatore del Thun, a quell’epoca e per molte stagioni direttore sportivo, oggi presidente di un sodalizio che ha saputo costruirsi una storia e una credibilità anche grazie al contributo del suo massimo dirigente, figura iconica all’interno del club. Una “leggenda”, per qualche suo collega. Di certo, una figura centrale all’interno della realtà dell’Fc Thun. «Non posso negare di essere al centro di questo progetto, è un dato di fatto. Sono qui da 19 anni, ho fatto le esperienze più disparate, in questa società. La mia carriera al Thun è speciale. Leggenda lo lascio eventualmente dire agli altri, non sarò certo io a definirmi così. Sono però molto orgoglioso di fare parte dell’Fc Thun, di averne vissute così tante, con questi colori».
Tra queste, anche alcune sfide con il Lugano. «Contro i bianconeri sono sempre state partite da “cinquanta e cinquanta”. Se penso alle stagioni di Super League, siamo sempre stati gli outsider, perché eravamo “solo” l’Fc Thun. Tutto sommato questo ruolo non ci dispiaceva. Oggi siamo una realtà di Challenge League. Il Lugano sta disputando una buona stagione. È favorito, ma conta poco. Non si tratta di toglierci pressione di dosso, non abbiamo comunque niente da perdere. Giochiamo in casa contro il Lugano. È una sfida di cartello, una grande occasione. Se dovessimo perdere non sarebbe un problema così grave, se invece vinciamo creiamo una piccola sensazione. Per noi i presupposti sono piuttosto interessanti».
Promossi in Super League, poi in Europa, addirittura in Champions con grande successo, poi nuovamente retrocessi in Challenge League. Il Thun ha toccato il cielo con un dito prima di un prevedibile ridimensionamento. Ci sono i margini per una nuova fase di crescita? «Ritengo di sì. La Champions fu qualcosa di estremo, così come estreme, ma in senso negativo, sono state alcune difficoltà che abbiamo attraversato. A Thun ho vissuto tutto quanto è possibile vivere nel mondo del calcio, da giocatore, dirigente e ora presidente: il girone di Champions, l’Europa League, il secondo posto in campionato, la finale di Coppa del 2019. Ma anche qualche storiaccia legata ai giocatori, la retrocessione. Esperienze dure ma formative, attraverso le quali il Thun in questi 20 anni si è fatto un nome, si è costruito una credibilità. Da realtà periferica a società di Prima Lega e Challenge League, fino alla Super League e alla ribalta europea. L’Fc Thun oggi ha una propria identità, un’immagine. È un club con qualcosa di speciale al quale penso di aver contribuito. Ci siamo guadagnati il rispetto di tutti. Ambiente familiare, solidarietà e spirito di coesione sono tratti marcanti di una realtà come la nostra, più piccola e con una minore disponibilità finanziaria di altre. Non vendiamo il club a investitori stranieri, vogliamo conservare la nostra anima. Ecco perché ci avvaliamo di persone che si identificano con il club, fieri di farne parte».
Oltre a essere nei quarti di Coppa, il Thun in campionato è quarto con 30 punti, 5 in meno di Vaduz e Aarau che però hanno una partita in più. La promozione è alla portata. «Di massima, il nostro obiettivo deve essere la promozione. Anche per una questione economica. Dopo dieci stagioni di Super League con qualche apparizione in Europa la voglia è di restare o tornare in alto. I nostri tifosi si erano abituati bene, lo stadio è all’altezza. Vogliamo salire, ma non deve accadere per forza. Una promozione non è una cosa che possiamo forzare. Ci proviamo, ma lo stesso fanno Aarau, Vaduz o Neuchâtel. Inutile mettersi troppa pressione addosso, ma è giusto ambire alla promozione. Dal punto di vista economico e sportivo le richieste della Super League sono enormi. Si pensi a Lucerna e Losanna, piazze con un potenziale superiore al nostro che però stanno faticando non poco. La sfida è grande, ma è giusto provarci. Anche perché in caso di promozione la situazione muterebbe: crescerebbe l’euforia, gli spettatori sarebbero contenti e orgogliosi, aumenterebbero gli investimenti, ci sarebbero più possibilità anche per l’allestimento della squadra. Non temo il salto in Super League, ma ho il massimo rispetto per la sfida che tale salto rappresenterebbe. Sia sportiva, sia economica. Si guadagna di più, aumentano le entrate grazie a sponsor, diritti televisivi e spettatori, ma aumentano anche i costi».