A Thun per scacciare un po’ di fantasmi del passato e creare i presupposti per la conquista della Coppa Svizzera
«Si affronta come una partita secca. Si tratta di partite speciali, bisogna essere intelligenti, non c’è il pareggio, ci sono quattro cambi (oggi sono cinque, ndr). Le nostre idee sono quelle di sempre e cercheremo di creargli dei problemi e di passare il turno possibilmente nei 95′ non giocandone 120′. In Coppa chi ha lo spirito più giusto e vuole maggiormente la vittoria spesso riesce a ottenerla. In due partite puoi vincere un titolo, non importa quale. In Svizzera vincere la Coppa vuol dire tantissimo ma lo sa anche il Thun».
Si è espresso più o meno così anche Mattia Croci-Torti, oggi ma anche nei giorni scorsi, riferendosi all’incontro di domani a Thun valido per i quarti di finale di Coppa Svizzera. Quelle, però, sono parole di Fabio Celestini, allora allenatore del Lugano, alla vigilia della sfida della Stockhorn Arena del 28 febbraio 2019 che i bianconeri persero 3-2 (anche allora erano i quarti di Coppa, i bernesi superarono poi il Lucerna in semifinale e vennero sconfitti 2-1 in finale dal Basilea). Non si tratta di alimentare speculazioni scaramantiche o di rievocare fantasmi del passato, bensì di porre l’accento su quanto possano essere simili le preoccupazioni a ridosso di certe partite, a prescindere da chi allena o da chi gioca.
Partita secca, partita speciale, non c’è il pareggio. Vince chi ha più fame… Concetti usi e adusi al calcio, di strettissima attualità anche a ridosso di quel Thun-Lugano di cui si parla tanto – ma era inevitabile – sin dalla vigilia di quel Lugano-Lucerna che lo ha preceduto, match peraltro vinto dai bianconeri.
Oggi più di allora il Lugano scatta con una lunghezza di vantaggio sui bernesi. Tre anni fa compagine volenterosa ma in perdita di velocità dopo quasi un decennio da protagonista in Super League (retrocessa al termine della stagione successiva), oggi quarta forza di Challenge League, per quanto candidata alla promozione, obiettivo svelato dal presidente Gerber ma non sbandierato con la decisione che servirebbe a farne un vero e proprio punto di arrivo del campionato in corso. Ci proverà, il Thun, ma senza farne un assillo.
Resta il fatto che è la squadra di Mattia Croci-Torti ad approcciare la sfida nei panni della favorita. Non tanto, o non solo, per la differenza di categoria, la cui ampiezza, in partite così, può essere ridotta o azzerata. Bensì per la forza – in senso lato – con la quale i bianconeri approcciano una sfida sentitissima. La voglia, la “fame” di cui sopra, è un atout supplementare a favore dei ticinesi, i quali vedono nella Coppa – a giusta ragione – l’opportunità da non lasciarsi scappare, l’obiettivo sportivo sul quale mettere le mani sfruttando l’assenza delle squadre più forti. C’è un traguardo da tagliare, c’è una storia da onorare e, in parte, da riscattare. Già, perché anche il passato prossimo della Coppa deve fungere da stimolo per una squadra che ha qualcosa da farsi perdonare. In primis, la più volte ricordata uscita di scena di tre anni fa, sullo stesso campo di domani e contro la stessa avversaria. Ma anche la delusione enorme dello scorso anno, contro il Lucerna di Fabio Celestini, una sfida condizionata dal vento e persa 2-1 ai supplementari (nei quarti) contro la squadra che poi la Coppa la vinse. «Meritavamo di andare in finale – ha ricordato Croci-Torti, allora assistente di Maurizio Jacobacci – e un gol con il vento ha fatto sì che al Lucerna sia cambiata la stagione mentre noi siamo stati castigati nella partita forse meglio giocata dell’era Jacobacci. Non ricordo 45′ così dominati come in quella sfida. Quella sconfitta ci ha lasciato strascichi pazzeschi nei giorni seguenti». E per finire con i motivi di riscatto, ecco la finale “disgraziata” del 2016 persa 0-1 al Letzigrund contro lo Zurigo, formazione moralmente sotto un treno, contestata pesantemente dai suoi tifosi, retrocessa al termine di una stagione nefasta. Quella sì che fu un’occasione persa, e persa malamente, da parte di una squadra che si è data appuntamento a tarda primavera per riscattare quel doloroso passo falso.
La via tracciata a inizio stagione che culmina nell’atto conclusivo del 15 maggio fa tappa a Thun. Sappiamo bene quanto contino le motivazioni, e quelle del Lugano sono ai livelli di guardia. Una volta gestito il rischio di un eccessivo carico di pressione che non dovrebbe essere proprio a una squadra matura e consapevole, uscita bene da Berna e dall’insidia costituita dal match contro il Lucerna, nonostante la testa fosse in parte già nell’Oberland, non resta che scaricare sul sintetico della Stockhorn Arena la voglia accumulata traducendola in un prestazione da Lugano. Tanto dovrebbe bastare per spuntarla e togliersi di dosso un po’ di fantasmi del passato.