tiri liberi

Trenta partite prima dei playoff sono troppe

Troppi gli infortuni, troppo pochi i professionisti e i giovani di talento. Uno dei fattori da tenere a mente anche quando si giudica una stagione.

‘Non esistono fallimenti nello sport’
(Keystone)

Siamo in dirittura d’arrivo della stagione 2022-23 con i quarti di finale in corso. In pratica diventa essenziale essere al top in queste ultime settimane, per mettere a frutto tutto quanto fatto in stagione.

Noi riteniamo che giocare trenta e più gare prima dei playoff non sia adeguato alle forze dei vari club per il semplice motivo che gli infortuni sono all’ordine del giorno. Tranne due o tre eccezioni, forse quattro, la maggioranza dei club ha un roster di sette – otto giocatori, tre o quattro di questi professionisti e gli altri rincalzi nel vero senso della parola. Basta scorrere le statistiche di ogni squadra e si vede come la maggioranza dei club ha un massimo di quattro giocatori in doppia cifra e molti con medie che non arrivano a un canestro per gara. Fattore evidente della carenza di mezzi su tutta la linea, nei club la mancanza di soldi per avere una squadra di professionisti almeno all’80% e nei singoli perché i settori giovanili sono carenti e molto discontinui nel fornire elementi di serie A o, per lo meno, in grado di tenere il campo 7-8 minuti. Non si capisce perché queste riflessioni non vengano fatte dai presidenti se non nei pour-parler fuori dal campo, dove le lamentele contro tutti e tutto sono all’ordine del giorno. Il nostro basket è povero da un punto di vista tecnico e non è una novità: a livello nazionale si fanno continui progetti che di solito muoiono nello spazio di qualche mattino, sino all’arrivo di una “nuova voce” che promette miracoli e fa proclami, con investimenti… a morire. Ma che si facciano scelte a 360° con il coraggio di ripartire da zero o questi, mai, solo toppe sui pantaloni e rappezzi a spanne. Lo abbiamo visto come è funzionata la giustizia sportiva, fuori da ogni logica in una fase nevralgica di campionato.

Adesso vedremo come andranno i playoff, anche se di certezze ce ne sono all’orizzonte ma sono pur sempre ipotesi. L’abbiamo visto anche nell’Nba con Milwaukee, dominatrice in stagione regolare (82 partite in ogni angolo di Stati Uniti e Canada), dominatrice con 58 vittorie, eliminati da Miami che in stagione è arrivata alla fine dagli spareggi con 44 vittorie. Chiamato in causa il migliore della stagione regolare, Giannis Antetokounmpo, che ha terminato la stagione con 38 punti di media e 20 rimbalzi, alla domanda se quello della sua squadra fosse un fallimento, ha risposto con alcune frasi che han fatto il giro del mondo: «È una domanda sbagliata, non esistono fallimenti nello sport. Ci sono giornate buone e giornate cattive. Giornate in cui vinci, altre in cui vincono gli altri. Ecco cos’è lo sport».

Un messaggio che mi auguro venga recepito da molti, soprattutto da quelli che vanno dagli altari al catastrofismo se un club vince o perde, messaggi chiaramente sbagliati perché non rispettano la forza dell’avversario, non considerano le energie che comunque vengono spese anche quando si perde e non c’è quella cultura veramente sportiva che va rispettata, ed è il responso del campo. Poi, è pur vero, che gli errori dei singoli, giocatori, arbitri, segnalinee, Var, possono essere decisivi, ma sull’arco dell’incontro sono sempre i frutti delle due sfidanti a essere messi a confronto e, come tali, decisivi.