I Nuggets cercano la conferma, ma la concorrenza è sempre più spietata. Dai Lakers ai Suns passando da Boston e Milwaukee nella Eastern Conference
Centotrentatré giorni dopo l’ultimo canestro, l’Nba è ripartita con le prime due partite della nuova stagione nella notte tra il 24 e il 25 ottobre. I Denver Nuggets hanno regolato i Los Angeles Lakers con apparente facilità, mentre i Phoenix Suns hanno vinto in volata sui Golden State Warriors, ma siamo appena all’inizio ed è inutile tirare conclusioni. La formula della regular season, più o meno, è sempre la stessa: trenta squadre, due Conference, sei Division, 82 partite a testa. Si finisce il 14 aprile, e solo a quel punto sapremo chi andrà avanti nella caccia al prezioso anello di campione e chi si ferma.
Poche cose nello sport sono più coinvolgenti, incasinate e massimaliste di una stagione Nba: per seguirla tutta e bene bisognerebbe smettere di lavorare o studiare o, se non è possibile, almeno smettere di dormire. Se non potete fare tutte queste cose, questa guida minima vi aiuta a farvi un’idea degli equilibri attuali, delle novità e dei temi da seguire. Meglio di niente.
Anche solo per logica, a partire davanti a tutti a Ovest sono i Denver Nuggets, che la scorsa stagione hanno dominato in lungo e in largo fino al titolo. Negli ultimi dieci anni ripetersi in Nba è sembrato quasi impossibile, ma con Nikola Jokic niente è impossibile. Denver ha ancora il miglior giocatore e il miglior quintetto, quello più solido e affiatato, costruito con pazienza intorno all’infinito QI cestistico del serbo e a Jamal Murray, ma in estate ha perso Bruce Brown, forse il sesto uomo più importante della scorsa stagione, e Jeff Green, utilissimo quando chiamato in causa e soprattutto uno degli uomini più importanti nello spogliatoio. Vedremo se qualcuno dalla panchina sarà in grado di rimpiazzarli a dovere, altrimenti potrebbero pagare nei playoff. Per la regular season, però, sembrano una macchina ben oliata.
Alle spalle di Denver ci sono una manciata di franchigie che in estate hanno provato a fare un passo decisivo per spodestare Jokic e compagni. I più avvelenati sembrano i Los Angeles Lakers, anche solo per tutte le schermaglie avute con i Nuggets dopo la sconfitta per 4-0 nelle finali di Conference. A guidare la truppa gialloviola è ancora LeBron James, arrivato alla ventunesima (!!!) stagione in Nba fresco come un fiore. Quest’anno, infortuni permettendo, diventerà il primo essere umano a superare i 40’000 punti segnati nel massimo campionato nordamericano, ma più che i traguardi individuali il prescelto vuole regalarsi un ultimo anello. La squadra che gli hanno costruito intorno sembra leggermente meglio di quella della scorsa stagione, difficile dire oggi se però basterà.
Chi ha provato più di tutti ad avvicinarsi a Denver attraverso il mercato sono però i Phoenix Suns. Dopo aver aggiunto Kevin Durant lo scorso febbraio, la franchigia dell’Arizona ha rinunciato a Chris Paul per mettere le mani su Bradley Beal e creare una squadra con tre giocatori (c’è anche Devin Booker, mai dimenticarlo) che possono mettere ogni singolo tiro da ogni singola posizione del campo e, per quanto banale, l’Nba è ancora una Make-Or-Miss League e nessuno vuole davvero incontrarli. Certo, per farlo hanno dovuto sacrificare la lunghezza delle loro rotazioni e Frank Vogel – anche lui un nuovo arrivo – dovrà capire chi potrà dare una mano fin da subito, tra una serie di seconde linee con più o meno esperienza. Vederli giocare sarà comunque un’esperienza lisergica, soprattutto se vi piace il basket fatto dai singoli in isolamento.
Chi altro? Golden State rimane l’unica vera dinastia della Lega, ma Curry, Thompson e Green non ringiovaniscono certo e aver aggiunto all’equazione il 38enne Paul non ha di certo abbassato l’età media. Discorso simile si può fare per i Clippers: qui, più che l’età, è la salute di Kawhi Leonard e Paul George a preoccupare: riusciranno a rimanere sani per una stagione intera? Visti i precedenti sarebbe quasi un miracolo.
A Est il mercato estivo ha spazzato via ogni possibile dubbio: Milwaukee Bucks e Boston Celtics si presentano come le due migliori squadre, non solo di questa parte dell’Oceano, ma probabilmente di tutta la Lega. Ai Bucks è bastato portare in città Damian Lillard, dopo una lunga telenovela estiva che lo ha visto promesso sposo di Miami, per ravvivare un ambiente che sembrava moderatamente depresso. Niente contro Jrue Holiday, ma Dame è Dame, uno dei fenomeni di questo gioco, e metterlo vicino a Giannis Antetokounmpo è stata una bella mossa, a prescindere da come andrà a finire. I due sembrano fatti per stare in campo insieme e vederli fare squadra per il premio finale sarà uno spettacolo.
I Celtics invece hanno praticamente stravolto il loro roster: via Smart, Brogdon, Robert Williams e Grant Williams per portare dentro Holiday e Porzingis. Indubbiamente il quintetto è migliorato, soprattutto se il lettone dovesse confermare quanto di buono si è visto l’anno scorso a Washington, c’è però qualche dubbio riguardo alla panchina e alla leadership di squadra, anche considerando che coach Mazzulla non è sembrato avere completamente il polso della squadra la scorsa stagione. Il talento di Tatum e Brown non si discute, ma sono finalmente pronti a fare l’ultimo passo in avanti, quello che è sempre mancato fin qui? A Boston pensano di sì, il loro ottimismo può però rapidamente precipitare nel dramma: non sarebbe la prima volta.
Il terzo incomodo dovevano essere i Philadelphia 76ers, ma la loro stagione è deragliata ancora prima di iniziare. James Harden ha dato del bugiardo a Daryl Morey e il suo futuro è più di un’incognita. L’allarme era in parte rientrato durante il training camp, ma nelle ultime settimane il giocatore dalla barba più folta dell’Nba è tornato a disertare allenamenti e partite chiedendo di essere ceduto. Philadelphia sembra volerlo accontentare, ma in cambio deve avere abbastanza da poter costruire una squadra competitiva intorno a Embiid, altrimenti il rischio è che anche lui saluti tutti e, quella sì, sarebbe una catastrofe per la franchigia.
Ci sono poi i Miami Heat. Mancato l’assalto a Lillard e persi Strus e Vincent, Spoelstra dovrà di nuovo inventarsi qualcosa. L’anno scorso la stagione regolare è stata un disastro, poi la squadra ha trovato la forza di trascinarsi fino alle finali. Ripetersi quest’anno sarebbe un autentico miracolo, ma vi sfido a scommettere contro Jimmy Butler.
L’Nba non è però solo le sue migliori franchigie. Ogni stagione è ricca di spunti più o meno grandi, squadre o giocatori di cui seguire l’evoluzione con attenzione. Il nome più caldo è ovviamente quello di Victor Wembanyama. Mezzo uomo mezzo aquilone, la sua prima stagione nel massimo campionato nordamericano con la maglia dei San Antonio Spurs sarà scrutinata come l’ultimo anno in carica di Biden. Nelle poche amichevoli disputate fin qui ha fatto vedere di essere più pronto di quello che credevamo. San Antonio non ha nessuna fretta di vincere, anzi: per come funziona l’Nba gli conviene perdere tanto quest’anno e avere una buona presa al draft, ma siamo sicuri che il francese sia d’accordo? In ogni caso: se vi capita guardate almeno una sua partita, anche due.
Altri temi sparsi qui e lì: a Dallas c’è qualche paura che l’intesa tra Luka Doncic e Kyrie Irving possa non essere quella che sembrava su carta. Con la palla in mano pochi sanno inventare come loro, ma, nonostante qualcuno dica il contrario, il basket anche in Nba non è una questione di talento individuale. C’è poi quello che stanno combinando i Thunder a Oklahoma: una squadra giovane e scalmanata che con Chet Holmgren abile e arruolato può divertire e divertirsi, addirittura dire la sua per un posto diretto ai playoff. A Sacramento e New York, invece, c’è attesa per vedere se sia possibile migliorare quanto di buono fatto la scorsa stagione. Più facile che siano i Kings a rispettare le attese. Occhio a Indiana per Tyrese Haliburton e a Minnesota per Anthony Edwards. Lasciate invece perdere i Washington Wizards: si candidano per essere la peggior squadra dell’anno.
Le attese però non sono solo per squadre e giocatori. Nelle ultime settimane il commissioner Adam Silver ha lasciato intendere che i cambiamenti non mancheranno. Si parla di modifiche al tanto vituperato All-Star Game (si potrebbe tornare alla versione Ovest contro Est); una partita verrà disputata a Città del Messico e una a Parigi, questa ormai un classico. Sono state vergate nuove regole per provare a limitare il load management, quel fenomeno per cui le squadre fingono infortuni ai giocatori migliori per farli riposare qua e là durante la stagione, ma è difficile dire se funzioneranno. La novità più grande di tutte è però l’In-Season Tournament, un torneo nel torneo che si terrà tra novembre e dicembre e che prevede l’assegnazione della prima Nba Cup.
Ma come funzionerà? In qualche modo il suo svolgimento ricalcherà le coppe nazionali europee: per ogni Conference (Est e Ovest) sono stati sorteggiati tre gironi da cinque squadre, che si affronteranno tra loro in determinate serate (i risultati di queste partite varranno anche per il record finale della regular season). La prima di ogni girone e le due migliori seconde passano ai quarti, che saranno a eliminazione diretta, per decidere le quattro squadre che poi si affronteranno nella Final Four da giocare a Las Vegas con finale il 9 dicembre.
Per una Lega conservativa come l’Nba questa è una piccola rivoluzione, che segna la volontà di provare a capire come rendere più moderno e attraente anche prima dei playoff un prodotto che hanno in pochi. L’intento della Nba Cup è infatti quello di ravvivare un momento della stagione, i mesi di novembre e la prima parte di dicembre, che storicamente soffre di un po’ di stanchezza nell’interesse generale del pubblico. Aggiungere in quelle settimane una sfida nella sfida, una serie di partite a ‘eliminazione diretta’ promette di migliorare gli ascolti (un tema sempre caro ai piani alti), attirare anche spettatori neutrali interessati non tanto al lungo periodo delle 82 partite stagionali, ma al sapere di volta in volta chi vince e avanza e chi perde e torna a casa. Probabilmente non vedremo le squadre dare tutto come durante le gare da dentro o fuori dei playoff, ma non si può dire che l’Nba non ci stia provando.