Triathlon

Carola Fiori Balestra, ‘meno chilometri per divertirmi di più’

Il bilancio dell’atleta ticinese al termine di una stagione consacrata ai ‘medi’, con vista sul 2022 in cui si concentrerà sulla distanza olimpica

fotoservizio Dani Fiori
24 novembre 2021
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L’avevamo lasciata immersa nel circuito degli Ironman 70.3, altrimenti noti come “medi”, impegnata nella categoria della sua età (con risultati eccellenti) ma anche nel confronto sempre stimolante con le “assolute”. Un confronto dal quale è sempre uscita con risultati di spessore internazionale. Carola Fiori Balestra la ritroviamo con la medesima determinazione che esprimeva nell’anno che precedeva i Mondiali in Sudafrica, suo grande obiettivo del 2018; con la medesima passione che a 50 anni ormai compiuti è ancora una fedele compagna di viaggio grazie alla quale la competizione è tuttora parte della vita dell’atleta ticinese. In barba al Covid e a un infortunio che l’hanno fatta vacillare, inducendola a fare brutti pensieri di ritiro. Non che l’età non possa presupporre un ritiro dalle scene agonistico, ma non è ancora tempo, per una mamma e moglie che nella famiglia trova il conforto e il sostegno che le servono per continuare, per rimettersi in gioco e lanciare, o meglio lanciarsi nuove sfide. Come quella della distanza olimpica. Più breve ma anche più stimolante. Nonché divertente.

L’entusiasmo è tornato

Ma davvero, nonostante tutto quanto è successo negli ultimi due anni nel mondo, non ha mai pensato di smettere, di uscire da questa spirale fatta di sport di altissimo livello e di sacrifici enormi in allenamento? «Ci ho pensato moltissime volte – ammette Carola, portacolori del Tri Team e, in Italia, atleta del TriEvolution –, anche perché abbiamo passato dei momenti un po’ delicati in famiglia. Mi alzavo al mattino senza la voglia di allenarmi, ho davvero pensato di smettere. Poi le cose si sono sistemate, sono diventata più tranquilla, l’entusiasmo mi era tornato. Mi alzavo con la voglia di fare allenamento», ha spiegato la ticinese al termine di una stagione mandata agli archivi con l’ottavo rango assoluto (e primo posto di categoria per distacco) all’Ironman Sardegna 70.3 di fine ottobre.

Uno sguardo a ritroso, per ripercorrere, a livello emotivo, gli ultimi tre anni. «Dopo i Mondiali in Sudafrica (2018, ndr) ero motivatissima per Nizza, l’anno successivo. Purtroppo mi sono infortunata due settimane prima della gara. L’ho portata a termine ma non è andata come avrei voluto. Dopo Nizza, per quattro mesi ho fatto pochissimo. Ho fatto infiltrazioni epidurali di cortisone, ho sofferto per una tendinite diagnosticata tardi. Ci sono voluti quattro mesi prima di rimettermi in sesto. Per il 2020 mi ero detta che avrei fatto un anno prevalentemente di “olimpici”, in vista dei Mondiali di Edmonton, poi è subentrato il Covid. In quell’anno ho fatto solo due gare. Nel 2021 sono partita un po’ così, senza grandi punti di riferimento. Ho partecipato al Campionato europeo di “medio” di Walchsee, poi mi sono focalizzata sulla distanza olimpica. Ho partecipato agli Europei di “medio” a Valencia, gara che mi è piaciuta tantissimo. Purtroppo abbiamo valutato male la modalità di calcolo dei tempi e ho perso il primo posto per quattordici secondi. Per l’anno prossimo mi sono ripromessa di ripresentarmi a questo appuntamento, in calendario a Monaco di Baviera. Per fare meglio. Quindi, per prendermi la vittoria».

L’anima della combattente

Traspare, evidente, l’anima agonistica di una combattente che nella competizione si esalta. Del resto, è tutta una questione di motivazione. Carola la trae dai risultati. Ma non solo… «La motivazione è perlopiù legata ai risultati, è vero. Lo sport mi piace, mi alleno sempre da sola, la motivazione è data dai riscontri che ho in gara. Voglio arrivare dove non sono riuscita ad arrivare, in una sfida che è soprattutto con me stessa. A Walchsee il terzo posto è stato un buon risultato, tuttavia non sono stata del tutto soddisfatta. Ragion per la quale da quel podio ho ricavato la motivazione per fare meglio la prossima volta».

Cadenza e frequenza degli allenamenti impongono un’attitudine al lavoro e al sacrificio non da tutti e tutte. «Ci sono periodi in cui si lavora 12 ore alla settimana, per arrivare fino alle 18 ore durante i campi di allenamento. Ultimamente mi sono accorta di fare un po’ meno. Tuttavia, a marzo e aprile le ore sono tante, non c’è riposo, bensì recupero attivo. Nel periodo in cui ci sono più gare ci sono anche giorni di riposo totale. Operazione che, devo dire, mi riesce benissimo. Anche perché sai che l’indomani devi già tornare al lavoro e sei contento di aver potuto riposare un po’. A 50 anni ormai compiuti…».

Non ancora raggiunti limiti di età

L’età, il confronto con atlete più giovani. Difficile chiamarsi fuori per raggiunti limiti di età e per un confronto “impari” con colleghe anche nettamente più giovani? «Gareggio contro ragazze che sovente vengono dal nuoto e che quindi in acqua mi danno già un bel po’ di minuti. Poi però vedo i tempi di bici e di corsa, e sono in linea con le colleghe. È a nuoto che perdo molto tempo, è da sempre così. Non aver nuotato per quasi due anni e avendolo fatto, prima, solo due volte alla settimana, non mi ha certo agevolata. Il confronto con gli atleti élite può apparire impietoso, a volte. In certi contesti, come a Locarno e a Zugo, ho ottenuto piazzamenti di rilievo anche tra gli assoluti. È una motivazione in più per le gare principali della mia categoria alle quali partecipo, come i Campionati europei, di livello comunque molto alto».

Se non ci fosse la categoria specifica, Carola si metterebbe ancora in gioco, tra le élite? «Quando vi prendo parte, la mia categoria d’età mi interessa poco. Tanto che mi è capitato di nemmeno fermarmi per la premiazione, per la voglia che ho di tornare a casa dai miei figli, dopo la gara. Nella passata stagione, però, avendo partecipato agli olimpici e, quindi, a gare più corte, mi sono divertita molto di più. Riesco a gestire meglio la gara, l’alimentazione, i dolori, il recupero. Tutti fattori che hanno fatto la mia gioia. Tanti atleti tendono ad aumentare le distanze, a cercare il lungo, passando al mezzo, all’Ironman. Io invece torno indietro perché mi diverto».

Olimpici, una realtà diversa

La componente divertimento, par di capire, è il valore aggiunto alla competitività. «Combattere con il dolore dato dalle lunghe distanze e non riuscire a esprimere tutto il proprio potenziale in gara è demotivante. Viene meno il divertimento. Non è che negli olimpici (1’500 metri a nuoto, 40 km in bici e 10 km di corsa, ndr) non si soffra, perché i chilometri li devi fare a tutta, ma è comunque una realtà diversa. È un passo a ritroso sul piano delle distanze, ma non su quello dell’impegno e degli allenamenti: quelli erano e restano sempre tosti, tra le ore in bici, i “lunghi” a corsa e il nuoto. In passato ho curato la parte tecnica. Dopo la lunga interruzione, sentivo di nuotare meglio, ma a livello di velocità ho ben pochi margini. La mia tecnica, me lo ripete anche il mio allenatore, ormai è quella che è, non c’è più granché da fare. Di conseguenza, per essere performante devo macinare un sacco di chilometri in acqua. L’obiettivo, alla ripresa, sono le cinque volte alla settimana».

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