Atletica

Petrucciani, Olimpiadi nel mirino già a 17 anni. 'E ora ci sono'

Il 21enne ticinese alla vigilia della partenza per Tokyo. 'L'avevo sparata grossa, ma ce l'ho fatta. E se riesco a divertirmi, vado più forte'

Ricky Petrucciani dopo la vittoria nei 400m agli Europei U23 di Tallin
(Facebook)
12 luglio 2021
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“Sono sicuro, che posso farcela”. Non aveva ancora compiuto diciassette anni e, parole sue di oggi, accompagnate da una risata, «forse quando mi avevi intervistato la prima volta, l’avevo sparata un po’ tanto grossa». Ma l’ambizione di quel ragazzo dal talento già evidente, ora così tanto grossa non appare più. Il 22 luglio Ricky Petrucciani prenderà un volo. Destinazione: Tokyo, Olimpiadi. «Alla fine, l’ho detto e l’ho fatto», aggiunge con la gioia che s’indovina anche al telefono.

All’appuntamento più ambito per ogni sportivo, il ticinese arriverà lanciatissimo dalla prestazione maiuscola fatta segnare ai Campionati europei U23 di Tallinn, dove ha corso in 45”02 i 400 m, polverizzando il suo personale (45”69) e mettendosi al collo l’oro. Un tempo che equivale al nuovo record svizzero di categoria, a 3 centesimi dal primato nazionale assoluto di Mathias Rusterholz. 

Ma che effetto fa, sapere di partecipare alle Olimpiadi?

Io ho saputo e capito che sarei andato a Tokyo qualche giorno prima dell’ufficializzazione. In base al ranking stilato da World Athletics, grazie ai tempi che avevo fatto segnare, rientravo nei possibili partecipanti. Però la selezione dev’essere ufficializzata da Swiss Olympics, sulla base delle indicazioni di Swiss Athletics. La conferma di essere stato inserito nella delegazione svizzera è arrivata due giorni dopo. Sembrano pochi, ma è stata una lunga attesa. Quando ho potuto finalmente dire a tutti che parteciperò ai Giochi, mi sono davvero tolto un gran peso.

Se riguardi a te diciassettenne, cosa pensi del percorso che ti ha portato fino a qui?

Penso che sicuramente posso fare di più. Me lo sento. In ciò che sto facendo, c’è ancora un bel margine di miglioramento. Guardando indietro, vedo che in questi comunque pochi anni, di strada ne ho già percorsa parecchia e mi sono sempre confrontato con atleti veramente forti, anche in varie competizioni internazionali. Fino ad arrivare alla Diamond League, che era stata una chiamata dell’ultimo secondo e che è stata una grandissima emozione. Essere presente a un evento del genere, la prima volta, oltretutto in Italia e dunque sentendo parlare la propria lingua, è stato fantastico.

Quando si riesce a entrare in un evento della portata della Diamond League, ci si dice “ecco, ci sono” o si ha ancora più fame?

Si ha fame. Nessuna convocazione, nemmeno quella per le Olimpiadi, è mai un punto di arrivo. È invece un punto di partenza: un passo che si auspica porti a un nuovo livello, a uno step successivo nella carriera.

Negli ultimi mesi hai fatto segnare degli ottimi tempi sui 400 metri. Cosa ti ha permesso di ottenere questi crono?

Ho continuato a lavorare. In particolare dopo la mancata qualificazione per la finale agli Europei indoor a Torun, ero un po’ amareggiato. Mi sono concentrato sul lavoro che dovevo fare e sugli allenamenti. Sono così riuscito a scendere, finalmente, sotto i 47” indoor (all’interno, ci provavo da tre anni) e sotto i 46” all’esterno. A mio parere, ciò che ho mostrato fino a ora è sì buono, però non è ancora tutto. Per il momento va bene; ma io sono uno che, terminata una gara, si concentra già sulla seguente. Questo, allo scopo di migliorarmi continuamente e trarre degli insegnamenti da chi è più forte di me.

Cosa ti dà la percezione di avere ulteriori margini?

Tempi (che lo dimostrano) a parte: è una sensazione in corpo, che trasmette quella fiducia che rende consapevoli di poter andare sempre un passo avanti. È qualcosa che arriva dall’allenamento, ma anche tanto dalla testa. Se non ci sei con la testa, è difficile che migliori. E anche a livello mentale, ho coscienza di avere compiuto notevoli passi avanti.

Su cosa pensi o sai di dover lavorare, per riuscire a progredire?

Penso anzitutto che devo trovare la gara giusta: assenza di vento, nessuna pressione, sensazione di sentirsi veramente liberi. Sotto questo punto di vista, non ogni gara è come ce la si aspetta. Per ciò che mi riguarda, credo di riuscire meglio nelle competizioni all’estero. In Svizzera sanno tutti chi sono e la pressione è maggiore: dalle telecamere che ti seguono alla gente che ti ‘chiede’ di fare bene. Mentre fuori confine sono uno dei tanti e ogni altro atleta è lì per fare il proprio meglio; quindi mi sento più sollevato.

Il Petrucciani atleta con quali propositi si recherà a Tokyo?

Sicuramente vado per accumulare esperienza, perché è un appuntamento di tutt’altra dimensione. Non a caso è difficilissimo arrivarci e quando sei dentro, non è che sia tanto più facile – ride –. Voglio dunque provare a imparare il più possibile e fare il meglio nell’ambito delle mie possibilità. Mi auguro che arrivi un buon risultato. Se così non sarà, fa nulla: è la mia prima partecipazione, so che avrò altre occasioni. Mi sento comunque fiducioso e, visto come è andata agli Europei U23 di Tallinn, credo possa uscirne una prestazione valida.

E il Ricky persona con quale spirito partirà alla volta del più importante evento sportivo al mondo?

Di certo questo è un evento che lascerà il segno. Del resto, a chi non lascerebbe un segno, essere al via alle Olimpiadi – ride –?! In generale, spero di divertirmi. Mi piacerebbe inoltre riuscire a visitare un po’ la città. So che, con la pandemia ancora in corso, sarà complicato; vedremo... Sarebbe bello, perché il Giappone mi sembra stupendo. Di solito quando viaggio per le gare, cerco di sfruttare l’occasione per conoscere il luogo, capire quale sia la realtà del posto. Non sono per niente uno che si limita ad aeroporto e stanza di albergo.

Come vivi l’attenzione su di te, che va crescendo di pari passo con il miglioramento delle tue prestazioni?

Ho avvertito interesse in particolare ai Campionati svizzeri, in cui ero il favorito e avevo coscienza di dover far registrare un ottimo tempo, così da potermi assicurare l’accesso ai Giochi olimpici. Per fortuna sono riuscito a cogliere tutti i lati positivi e a trasformarli in pista in un buon risultato – sorride –; però, soprattutto in casa, si sente parecchio l’attenzione di tutta una serie di persone che vogliono vedere di cosa sei capace e dove ti ha portato l’allenamento fatto.

Quando eri ancora una giovane speranza dell’atletica, ci avevi detto che quando correvi, ti sentivi libero.
È ancora così, oppure oggi il tuo è un approccio più professionale e, in un certo senso, meno sentimentale?

Devo dire che ho capito una cosa: più la penso così, cioè che quando corro sono libero e mi diverto, e più arrivano risultati migliori. Quindi il mio pensiero, ultimamente, è sempre di godermi l’esperienza al massimo e poi quel che esce, esce. Di solito quando affronto una gara con questo approccio, l’esito è buono. È questo, che mi fa andare avanti. L’anno scorso non mi riusciva, prendere le cose in modo così leggero. Forse perché non ero in forma come nel 2021; forse ero stanco; forse perché tutta la situazione era complicata. La pandemia di coronavirus ha sicuramente pesato non poco sull’intera stagione passata e non sono stato in grado di godermi ogni esperienza affrontata. Ciò che invece cerco di fare quest’anno, puntando a tirare sempre fuori il meglio di me e divertirmi. Perché se non hai divertimento, è inutile che lo fai. Soprattutto quando si inizia ad affrontare le gare di peso, Diamond League o corse internazionali, in cui le sensazioni provate sono di tutt’altro genere, devi cercare di essere il più libero possibile e non farti influenzare dagli altri rispetto al risultato da ‘dover’ ottenere. E assaporare appieno l’esperienza. Anche quando la posta in gioco è alta e gli appuntamenti quelli che contano, com’è il caso delle Olimpiadi, più ‘alla leggera’ si affronta il processo, e meglio è. E oggi il bisogno di sentirmi libero è ancora più forte rispetto al passato.