La Corte suprema elvetica ha respinto il ricorso del marciatore italiano contro l'espulsione dalle competizioni per 8 anni decisa dal Tas
Si spegne definitivamente in riva al Lemano, essendo il giudizio inappellabile, la speranza del marciatore italiano Alex Schwazer di tornare a gareggiare a livello mondiale. Come appreso dalla 'Regione' contro il 36enne altoatesino - espulso nel 2017 dalle competizioni internazionali per una durata di otto anni a seguito della positività al doping rilevata una seconda volta (recidivo) dopo la prima clamorosa squalifica del 2012 decisa alla vigilia delle Olimpiadi di Londra dove mirava a difendere l’oro olimpico conquistato nel 2008 a Pechino sulla distanza dei 50 km - si è ora espresso negativamente il Tribunale federale di Losanna con una sentenza firmata il 17 marzo ma pubblicata soltanto nei giorni scorsi. Sentenza che segue la prima decisione, pronunciata lo scorso dicembre, con la quale il Tf aveva negato l’effetto sospensivo richiesto dal team di avvocati di cui fa parte il ticinese Riccardo Rigozzi.
Nel gennaio 2017 il Tribunale arbitrale dello sport, anch’esso con sede a Losanna, aveva dal canto suo confermato la decisione provvisionale adottata nell’estate 2016 dalla Federazione internazionale di atletica leggera (Iaaf). La quale basava il provvedimento sull’esito delle controanalisi effettuate sul cosiddetto campione B delle urine che confermavano quelli fatti tre mesi prima sul campione A. “Si tratta del campione di urina - ricorda la massima corte giudiziaria elvetica - prelevatogli in occasione di un controllo non annunciato effettuato in Italia il 1° gennaio 2016 e dal quale è emersa l'assunzione di una sostanza proibita dall'Agenzia mondiale antidoping (Wada)”, ossia tracce, seppur minime, di metaboliti di testosterone. Confermando la squalifica per 8 anni, il Tas aveva anche annullando i risultati ottenuti nelle competizioni dal 1° gennaio 2016 (l’ultima in ordine di tempo la vittoria ai Mondiali a squadre che gli aveva garantito la qualificazione ai Giochi olimpici di Rio de Janeiro). Respingendo le varie tesi esposte dal marciatore e dal suo staff, il Tribunale arbitrale dello sport aveva negato che vi fossero state delle violazioni del dovere di anonimato nei confronti del laboratorio di Colonia incaricato delle analisi; inoltre aveva considerato che le pretese violazioni della catena di custodia esterna e interna del campione non avevano in alcun modo raggiunto un livello tale da mettere in questione l'intera procedura antidoping; in definitiva tre anni fa il Tas non aveva riscontrato prove né della pretesa manipolazione concernente l'apertura del campione B né degli altri aspetti della teoria avanzata dall'atleta di essere vittima di un complotto volto a eliminarlo dalla scena agonistica mondiale.
Il ricorso ora respinto dal Tf è stato interposto lo scorso 4 dicembre nel pieno del processo penale in corso a Bolzano per doping a carico di Schwazer: chiedeva di annullare la decisione del Tas, o in via subordinata di rinviare la causa al collegio arbitrale o a un altro tribunale arbitrale debitamente costituito. Punto centrale del ricorso: la tesi della manipolazione dei campioni corroborata dalla perizia genetico forense consegnata lo scorso settembre (ossia due anni e mezzo dopo la sentenza del Tas) dal Reparto d’investigazioni scientifiche di Parma sul campione di urina risultato positivo al doping. Perizia che mostrando una concentrazione anomala di Dna farebbe presupporre - a Schwazer e al suo staff - l’avvenuta manipolazione errata del campione di urina, tale da inficiare il risultato dell’esame di laboratorio. Da qui la richiesta del marciatore affinché il Tf rispedisse la causa al Tas per una revisione del suo giudizio, ritenendo la perizia un elemento nuovo di cui la corte di primo grado non era in possesso nella decisione del 2017.
Dal canto suo il Tf stronca la tesi del ‘fatto nuovo’ che può indurre a riformulare un giudizio: in base alla Legge sul Tribunale federale la revisione può infatti essere domandata “se l'istante, dopo la pronuncia della sentenza, viene a conoscenza di fatti rilevanti o ritrova mezzi di prova decisivi che non ha potuto addurre nel procedimento precedente, esclusi i fatti e i mezzi di prova posteriori alla sentenza”. La perizia del Ris di Parma costituisce dunque un fatto nuovo? No, secondo il Tf: “Viene semplicemente utilizzata come elemento a fondamento della tesi secondo cui il campione di urina che ha condotto alla squalifica sarebbe stato manipolato. Ora, la pretesa manipolazione, di cui l'atleta si era invano prevalso più volte innanzi al Tribunale arbitrale, non costituisce un fatto nuovo. Si tratta soltanto di un fatto che il ricorrente non era riuscito a dimostrare nella procedura arbitrale”. Inoltre la tesi difensiva secondo cui tale valutazione costituirebbe un errore del legislatore elvetico appare secondo il Tf “priva di fondamento, a maggior ragione se si considera che già un'anziana prassi sviluppata sotto l'egida della Legge sull'organizzazione giudiziaria del 1943 sanciva l'impossibilità di validamente fondare una domanda di revisione su una perizia posteriore; inoltre anche la giurisprudenza più recente esclude la possibilità di prevalersi di referti allestiti dopo l'emanazione della sentenza di cui è chiesta la revisione”.
Dal canto suo Schwazer indicava altresì nel ricorso che la perizia del Ris di Parma non avrebbe potuto essere effettuata durante la procedura arbitrale, poiché da un lato egli sarebbe stato costretto ad accettare un arbitrato accelerato per poter partecipare ai giochi olimpici di Londra 2012 e dall'altro poiché, non essendo più in possesso del campione, non avrebbe potuto ottenere la perizia su cui fonda la domanda di riesame. Ma anche su questo punto il Tf mostra pollice verso: “Egli non spiega perché non avrebbe potuto chiedere ulteriori misure peritali durante la procedura arbitrale davanti al Tas al fine di provare, con le denunciate anomalie, la pretesa manipolazione”. Un’impossibilità dovuta alla procedura accelerata svoltasi dinanzi al Tas? “Ma questa ha unicamente potuto essere adottata con l'accordo delle parti - chiude il Tf - e una procedura di revisione non può essere utilizzata per ovviare posteriormente a eventuali limitazioni causate dalla procedura scelta dalle parti o ad ottenere una perizia effettuata da un ben preciso perito”.
Si chiude così, su un pezzo di carta, una delle carriere più promettenti dello sport italiano recente, bruciata nel 2012 dall’Epo e dal successivo tentativo disperato di non farsi superare dalla brutta copia di se stesso. Rimarrà nella storia dello sport, forse più delle sue vittorie, la celebre conferenza stampa tenuta nell'agosto 2012 a Bolzano pochi giorni prima di Londra 2012, dove in lacrime davanti alle telecamere vuotò il sacco assicurando però di essersi aggiudicato l'oro di Pechino, nel 2008, senza trucchi. "Volevo tutto e ho perso tutto", dichiarò riferendosi all'Epo che, ha sempre sostenuto, si era procurato in una farmacia recandosi personalmente in Turchia. In quel periodo era fidanzato con la pluricampionessa di pattinaggio italiana Carolina Kostner. Persa anche lei, dopo aver cercato di proteggerla dalle responsabilità e non prima che il Tas nel 2015 la condannasse a 21 mesi di esonero dalle competizioni mondiali, per complicità e omessa denuncia. Sapeva del doping, ma ha taciuto.