Oggi il comitato cantonale forse ‘processerà’ Speziali. Ma si critica prima, pure con veemenza: dopo è inelegante. E sulla manovra serve cambiare passo
“Trovo sempre scioccante e offensivo rivendicare il monopolio del cuore, lei non ha il monopolio del cuore”, disse il liberale Valéry Giscard d’Estaing guardando dritto negli occhi il socialista François Mitterrand la sera del 10 maggio del 1974, nel dibattito televisivo tra i due turni delle presidenziali francesi che girò letteralmente l’esito di quelle elezioni portando, qualche giorno dopo, Giscard a inaugurare il suo settennato all’Eliseo. Da qui, dal tanto vituperato Novecento e dallo studio dei grandi del passato il presidente liberale radicale Alessandro Speziali può trarre ispirazione per rimettere in moto quel transatlantico un po’ fermo e un po’ malconcio che è il Plr dopo aver fallito l’assalto al seggio al Consiglio degli Stati con Alex Farinelli e dopo delle Elezioni cantonali dall’esito di certo non entusiasmante con due eletti in meno in Gran Consiglio.
Davanti al Comitato cantonale, questa sera, Speziali parlerà di elezioni, progetti e idee per riprendere il cammino. La discussione che seguirà sarà una probabile resa dei conti, utile più che altro a tastare il polso al ‘parlamentino’. Considerato ormai esaurito l’argomento elezioni, lo sguardo deve essere però rivolto al futuro. E l’esercizio potrà avere successo solo se davvero si avrà contezza di quanto successo a Bellinzona la settimana scorsa, quando a manifestare contro i tagli prospettati dal Consiglio di Stato nell’ottica della manovra di rientro non erano frange esaltate dell’ultrasinistra ma il ceto medio ticinese che vede il proprio potere d’acquisto sempre più eroso. Il Plr non può lasciare senza risposta una piazza nella quale il segretario dei Sindacati indipendenti ticinesi Mattia Bosco, di certo non un agitatore professionista, prende la parola per dire che se persino uno come lui manifesta vuol dire che “si è superato ogni limite”.
E, soprattutto, questo Plr ma anche la parte di centrodestra che non ha nel mirino il funzionariato pubblico e gli statali, non possono lasciare alla sinistra né il monopolio del cuore, né i correttivi a una manovra di rientro che scontenta tutti. Difendere il ceto medio criticando il governo non significa mettersi un colbacco sovietico in testa; e se si vuole essere davvero interclassisti, mal si comprende lo spingere così sull’acceleratore sul taglio dell’aliquota massima dal 15 al 12% per le persone più abbienti quando, nel già citato ceto medio, oltre cinquemila persone rischiano di vedersi saltare il sussidio di cassa malati.
I maggiorenti del partito non chiedono la testa di Speziali e anzi lo invitano a rimettere in moto il transatlantico cambiando comunque un bel po’ di cose. È una decisione che si può condividere, perché una presidenza è responsabile di vittorie e sconfitte ma, allo stesso tempo, occorre mettere a verbale che chi lamenta la mancanza di dibattito è spesso, se non sempre, silente in comitati cantonali e direttive, e che l’ala radicale – fondamentale, lo ribadiamo – spesso si autoconfina in una riserva indiana invece di aggiornare la propria agenda e battere i pugni. Una presidenza va criticata anche con veemenza, ma prima. Farlo, magari davanti a una telecamera o un taccuino, dopo una candidatura, sorrisoni e applausi non è il massimo dell’eleganza.
Postilla. Liberalismo vuol dire permettere al figlio dell’operaio di poter diventare capitano d’impresa. Dimenticare questo significa consegnarsi a un futuro di scarsa influenza che, detta semplice, per un partito ancora di maggioranza relativa in un’epoca dove il liberalismo è in crisi ovunque, equivarrebbe a un suicidio.