Mia Wallace non ha mai vissuto in una Valle del Silenzio come la nostra, dove la prima regola è proprio quella di non parlare mai della Valle del Silenzio
Non bisogna essere Mia Wallace per capire che certi silenzi mettono a disagio. Certo, ci sono silenzi e silenzi. Vero è che né Wallace né Vincent Vega hanno mai vissuto in una Valle del Silenzio come la nostra. Una valle dove la prima regola è proprio quella di non parlare mai della Valle del Silenzio.
Silenzio, come quello rigorosamente osservato dal Dipartimento educazione, cultura e sport in merito al licenziamento del docente della Spai di Mendrisio Roberto Caruso. Un tacere che da un lato si pretende giustificato in quanto la vertenza è ancora aperta (il docente ha impugnato il licenziamento e querelato il Decs). Ma anche un vuoto che lascia l’opinione pubblica di fronte a un’unica versione dei fatti: quella fornita da Caruso, dal suo avvocato e dal sindacato che lo sostiene. Come mai si è arrivati a una decisione così drastica? Sono state tentate tutte le possibili vie per una ricucitura? Vi erano motivi sufficientemente gravi che giustificassero l’allontanamento di Caruso? Se sì, quali?
Silenzio in qualche modo paragonabile a quello mantenuto dalla Rsi in merito al licenziamento di Paola Nurnberg, visto che l’emittente di Comano “non si pronuncia su casi specifici”. Certe domande restano aperte però: è stato il tweet contenente un’opinione politica la causa scatenante della sua disdetta, come affermano la diretta interessata e il sindacato che la assiste? Basta davvero infrangere il silenzio sui social network per essere licenziati dal servizio pubblico? Oppure c’erano altre questioni e il tweet è stato quella “goccia che ha fatto traboccare il vaso”, come ha suggerito in una presa di posizione l’Associazione ticinese dei giornalisti? Ciò che sappiamo è che una direttiva Ssr c’è e che Nurnberg l’ha disattesa: mai postare niente che tu non possa dire a microfono aperto. Silenzio, insomma. Silenzio chiama silenzio. Ma è ancora pensabile restare in silenzio, mentre da più fronti cercano di toglierti le risorse necessarie per fare sentire la tua voce? Qual è la tua voce? Quella dell’equidistanza a tutti i costi? Anche perfino al costo della tua propria sopravvivenza?
Silenzio, perché il rumore di “certa stampa” dà fastidio. O perché guai a chi rompe il patto di silenzio. Che si tratti di giudici, politici o poliziotti poco cambia. Ma dove finisce la discrezione e inizia l’omertà? Qual è il confine tra collegialità e connivenza all’interno del governo? Perché mai il Consiglio di Stato si è messo di traverso per impedire a questo giornale di accedere alle motivazioni del Gpc che aveva deciso di dissigillare i passaggi anneriti dell’incarto sull’ex Macello? Per quale motivo il comandante della Cantonale ha scelto di secretare delle informazioni utili all’inchiesta coordinata dal pg? Oppure: cosa pensano gli altri quattro consiglieri di Stato dei tentativi intrapresi dal quinto membro dell’esecutivo per zittire la stampa nei tribunali? Silenzio, ve lo ordina pure il pretore: fate silenzio!
Silenzio, non dirlo nemmeno: non azzardarti a parlare di rischio povertà; di salari vergognosi; di cattive prospettive occupazionali; di rendite di posizione; di promiscuità fiscale; di post feudalesimo. Nessun dato, solo dei giudizi, sguardi ideologici e ideologizzati. La negazione dell’evidenza: altro modo di invocare il silenzio.
C’è poi chi si potrà illudere, come Mia Wallace, di aver trovato qualcuno o qualcosa di speciale perché “puoi chiudere la fottuta bocca per un momento e condividere il silenzio in santa pace”. Ma noi stiamo con Vincent Vega: non siamo ancora arrivati a ciò. Non ci pensiamo nemmeno.