Più che i meriti della campagna dell'Udc, andrebbero ricercati i motivi che fanno sì che certi discorsi facciano breccia nella popolazione
C’è poco da stupirsi: è l’Udc il grande vincitore di questa tornata elettorale. Sia a livello nazionale, dove sfiora la soglia psicologica del 30 per cento delle preferenze; sia a livello cantonale, dove conquista il secondo seggio al Nazionale a scapito del Centro. E dove Marco Chiesa, presidente nazionale del partito, nonché consigliere agli Stati uscente, si piazza in una comoda pole position in vista del ballottaggio che il prossimo 19 novembre assegnerà i due seggi ticinesi alla Camera alta. Chiesa che, risultati alla mano, pare essere uscito indenne dalla vicenda ‘Ticiconsult’, vicenda resa nota poche settimane prima delle elezioni federali dal Tages-Anzeiger. Dall’inchiesta pubblicata sul quotidiano zurighese erano emerse alcune lacune relative alla gestione della fiduciaria aperta dal ‘senatore’ democentrista insieme al consigliere nazionale riconfermato Piero Marchesi. Aspetti, quelli riguardanti la mancata presenza per 14 mesi all’interno della società di un fiduciario regolarmente iscritto all’albo (come previsto dalla LFid), che in Ticino hanno sollevato non poche discussioni e qualche atto parlamentare, inclusa un’interpellanza interpartitica tutt’ora pendente.
Fatto sta che vince l’Udc. Ma perché vince l’Udc? Trovare un qualche merito nella campagna a sfondo razzista del primo partito svizzero appare un esercizio sterile: piuttosto andrebbero ricercati i motivi che fanno sì che certi discorsi (a tratti abominevoli) facciano breccia nella popolazione. In effetti, sembrerebbero essere le gravi difficoltà socioeconomiche che vive una buona parte dell’elettorato a rendere la vita facile ad alcune soluzioni semplicistiche, marchio registrato dei democentristi. Il Ticino sarebbe, in questo senso, un esempio eclatante – e non può neanche essere considerato un caso il fatto che sia stato scelto proprio un ticinese alla testa del partito a livello nazionale, mossa “lungimirante” dello sponsor Christoph Blocher –: cantone di frontiera confrontato in prima persona col fenomeno migratorio, e in cui il livello dei salari soffre una pressione al ribasso derivante dal dumping parecchio diffuso legato all’abbondante offerta di manodopera frontaliera, ci si dimostra (ancora) terreno fertile per le idee della destra populista.
Che poi l’Udc continui, indisturbato, a dettare i tempi della politica cantonale, come ha fatto attraverso il Decreto Morisoli e non solo, ritrovandosi ora a un passo dal confermare lo storico seggio agli Stati conquistato nel 2019, ci porta a dover riflettere sul ruolo dell’altro partito che ha occupato un seggio alla Camera dei Cantoni per buona parte degli ultimi quattro anni: i socialisti. Un Ps che il 19 novembre sarà costretto a seguire il ballottaggio in qualità di spettatore, dopo aver rinunciato mesi fa a difendere il seggio con la candidatura migliore, ovvero quella dell’uscente Marina Carobbio. Già, perché l’ex ‘senatrice’, oggi direttrice del Decs, è stata la “carta” che la dirigenza socialista ha scelto di giocarsi alle Cantonali di aprile per garantire una presenza progressista “forte” nell’esecutivo cantonale. Peccato però che fino a oggi Carobbio non abbia trovato il tempo per dissociarsi dalla manovra di rientro presentata nei giorni scorsi dal governo (e che il suo partito intende contrastare). Per non parlare del magro risultato di Storni – e l’ottima performance della Mirante – alle elezioni per il Consiglio degli Stati. Alla faccia della strategia.