Il Lugano ha chiuso sei mesi sfiancanti, con 33 partite, 24 delle quali in trasferta. Con il primo posto in Super League e gli ottavi in Conference
Il titolo di campione d’inverno, l’accesso diretto agli ottavi di Conference League, i quarti di finale di Coppa Svizzera (contro il Bienne, sulla carta la più debole delle squadre ancora in lizza). Si sono chiusi ieri sera sul campo “amico” di Thun sei mesi esaltanti di un 2024 capace di proiettare il Lugano ai vertici del calcio svizzero (nessuno ha conquistato più punti nell’anno solare). E in riva al Ceresio, nonostante un’attesa che dura dal 1949, nessuno si aggrappa alla cabala per non pronunciare la parolina magica: “Campioni svizzeri”. Mattia Croci-Torti lo ha detto in più occasioni: il Lugano è lì e possiede tutte le carte in regola per puntare al bersaglio grosso, senza dimenticare una possibile quarta finale consecutiva nel trofeo Sandoz e un cammino europeo foriero di altre soddisfazioni (e remunerazioni finanziarie).
Da luglio a dicembre, i bianconeri hanno disputato 33 partite (poco meno di una stagione intera), 24 delle quali in trasferta. Ciò nonostante, il loro livello di rendimento è rimasto elevato e soltanto l’accumulo di fatica, mentale prima ancora che fisica, ha guastato qualche partita (sconfitte con Yverdon, Servette e Losanna). Merito di una dirigenza che ha messo a disposizione di Croci-Torti una rosa completa, nella quale ogni posizione è stata per lo meno raddoppiata, e che ha saputo pescare due gioiellini in Zanotti e Papadopoulos, elementi fondamentali per alzare la cifra tecnica della squadra. Il resto lo ha fatto il tecnico, che alla squadra ha dato gioco e personalità, presupposti essenziali per poter reggere il ritmo infernale di impegni a mitraglia ai quali è stata sottoposta. E se sul piano individuale forse non è la compagine meglio attrezzata, a livello di collettivo non c’è concorrenza. Non a caso è opinione comune tra gli addetti ai lavori – anche quelli d’oltre San Gottardo, spesso scettici quando si tratta di valutare abilità ticinesi – che nessuno come il Lugano è in grado di proporre un calcio tanto bello quanto efficace.
La stagione non è che al giro di boa, tuttavia parlare di titolo svizzero non appare fuori luogo. D’altra parte, le statistiche parlano chiaro: dal 2013-14 chi ha trascorso il Natale con in tasca il titolo, a questo punto ben poco effimero, di campione d’inverno, si è confermato anche a primavera inoltrata. L’ultimo ribaltone risale al 2012-13, quando il Grasshopper aveva chiuso le prime 18 partite con quattro lunghezze sul Basilea, per poi concedere tre punti ai renani dopo la 36ª giornata. Certo, il campionato andato in pausa domenica è “tirato” come non mai, con sette squadre in cinque punti (e nove in otto), ma con Croci-Torti a tenere ferma la barra del timone, questo Lugano si è dimostrato in grado di superare le intemperie dell’agitato mare di Super League. Sempre che l’apertura della finestra di mercato invernale non porti i freddi spifferi delle partenze, bensì la dolce brezza di qualche arrivo importante. Ai bianconeri manca una punta centrale di peso (tutto da valutare l’ultimo ingaggio, quello del greco Georgios Koutsias) e si spera che la dirigenza pensi soprattutto ad aggiungere qualche petalo alla rosa, e non si lasci incantare dalle sirene di una possibile monetizzazione dei giocatori in scadenza di contratto (Mai, Aliseda, Steffen, Valenzuela...). Non è il momento di tirare i remi in barca, ma al contrario è l’occasione della vita per riscrivere i libri di storia della società. Un’occasione da non sprecare, sarebbe imperdonabile ritrovarsi a giugno a recriminare sui “se” e sui “ma”.