Dopo la conclusione dei negoziati con l’Ue, il Governo dovrà creare le premesse perché possa consolidarsi la sfilacciata alleanza pro Bilaterali
Basta una cifra per capire con quanta acribia si sia lavorato da entrambe le parti: 197. Tante sono state le riunioni negli ultimi nove mesi tra le squadre negoziali di Svizzera e Unione europea (quest’ultima capitanata da Richard Szostak, temprato dalle forse ancor più ostiche trattative sulla Brexit), precedute peraltro da ben 19 mesi di ‘colloqui esploratori’. E basta confrontare le fotografie di venerdì a Berna (sorrisi a 32 denti e calorosi abbracci fra Viola Amherd e Ursula von der Leyen) con quelle del 13 aprile 2021 a Bruxelles (il palpabile imbarazzo dell’allora presidente della Confederazione Guy Parmelin, in visita nella capitale europea nelle vesti di becchino dell’accordo quadro che di lì a poco il Consiglio federale avrebbe cestinato), per avere la misura di quanta strada sia stata fatta in tre anni e mezzo. Lo strappo (da parte svizzera), le ritorsioni (europee), il gelo (reciproco). E poi la paziente ricucitura di un rapporto che mai si era incrinato tanto dalla firma dei Bilaterali I nel 1999. Fino a giungere alla conclusione ‘materiale’ dei negoziati intavolati lo scorso 18 marzo. “Obiettivi raggiunti in tutti i settori”, ha fatto sapere ieri il Consiglio federale. “Aspettative superate”, per il ministro degli Esteri Ignazio Cassis.
La Commissione europea ha realizzato che senza concessioni ritenute inammissibili ancora poche settimane fa, il ‘pacchetto’ sarebbe stato spacciato in partenza. E allora ecco servita – in cambio della parità di trattamento tra studenti svizzeri ed europei (tasse d’iscrizione a politecnici e università) – una “concretizzazione” dell’attuale clausola di salvaguardia contenuta nell’accordo sulla libera circolazione, un meccanismo (tutto da definire) che la Svizzera potrà attivare “autonomamente” qualora l’immigrazione dalla zona Ue dovesse risultare eccessiva. Altra concessione a Berna: il reintegro, da subito, in Orizzonte Europa (ricerca) e in altri programmi europei (tra cui Erasmus+, dal 2027) dai quali la Confederazione era stata esclusa. Il Consiglio federale non manca inoltre di sottolineare le eccezioni ottenute “per proteggere i propri interessi essenziali” nei settori dei trasporti terrestri, dei prodotti agricoli e dell’energia elettrica. E ribadisce che, in caso di controversie, “l’ultima parola è del tribunale arbitrale” e non della Corte di giustizia dell’Unione europea.
Non è tutto rose e fiori. Sulla cruciale questione della protezione salariale non si è riusciti a portare a casa granché. E regna un certo pessimismo quanto alla possibilità che le parti sociali si intendano su adeguate misure ‘nazionali’ in grado di compensare un oggettivo, benché tutto sommato non flagrante, peggioramento. Giuste o sbagliate che siano, le parole del presidente dell’Unione sindacale svizzera Pierre-Yves Maillard (“deplorevole” che i negoziati si siano conclusi così) hanno quantomeno il pregio di ricordarci la lezione appresa in questi 25 anni di esperienza ‘bilaterale’: non c’è apertura possibile verso l’Ue senza misure accompagnatorie che ne riequilibrino gli scompensi per i lavoratori.
Dato per “scomparso” (Nzz, 2 novembre 2024), Ignazio Cassis – assieme ai colleghi di governo – dovrà darsi da fare per colmare un vuoto comunicativo (in parte giustificato, visti i negoziati in corso) riempito finora da numerosi tiratori franchi, e non solo nella galassia democentrista. Ma non basterà: si tratterà anche di creare le premesse perché la tradizionale, ampia alleanza pro Bilaterali, sfilacciatasi nel corso degli anni, possa consolidarsi. E questa sarà un’impresa ardua quasi quanto quella di aver condotto in porto i negoziati con l’Unione europea.