In tempo di guerra, è ancora più prezioso guardare a chi ispira speranza, chi dedica la propria vita al prossimo, per non lasciare indietro nessuno
Quanti Natali sono trascorsi senza conflitti dal giorno in cui Cristo è nato a Betlemme, dentro una stalla? Pochi, pochissimi, forse nessuno. Il 2022 è una pessima annata, la guerra è tornata in Europa. Lo spietato conflitto tra Russia e Ucraina non accenna a rientrare, anzi si parla solo d’investimenti per nuovi armamenti. Osserviamo impotenti la sofferenza sul volto di chi si è rifugiato in Svizzera e mal digeriamo tutti i rincari legati alla guerra. In Israele due stirpi si dilaniano da decenni. Per non parlare del sanguinoso conflitto in Etiopia, quello dimenticato nello Yemen, i morti in Siria, Iraq, Iran, Afghanistan. Siamo talmente saturi di violenza, di promesse disattese, che tanti girano la testa dall’altra parte, non per indifferenza, ma per ‘sopravvivenza’, cercando di gioire del presente tra gli affetti familiari.
Che senso ha festeggiare il Natale, se in tanti luoghi, si subiscono, di continuo, tante efferatezze? Penso che un pregio di questa festività sia quello di rinvigorire la speranza. Quella fiducia ostinata che si alimenta da quanto c’è di meglio nell’essere umano e non accetta di credere che la miseria sia un destino, a cui non si può porre rimedio. In questa ‘folle’ speranza risiede il senso umano della spiritualità. Quando cala il buio e tutto va male, sperare ci trattiene dalla rassegnazione sconsolata, ci toglie dalla melma mentale del vittimismo. È la forza salvifica che alimenta la volontà di resistere e perseverare tra le avversità. Il credente può contare su un’alleanza tra uomo e divino. Per chi non ha fede, Cristo può diventare un pensiero consolatorio, che indica come tra gli uomini siano possibili anche amore e fratellanza. Molti attingono forza alla sorgente interna dei principi che li guidano, un motore che spinge a rimboccarsi le maniche e dare il meglio per migliorare la vita di chi sta peggio. Qui e altrove. Vicino e lontano. Natale è speranza, è affetto, è lentezza, è dolcezza (anche nei buoni panettoni nostrani!), è solidarietà, è famiglia. Valori ancora più significativi in tempi di guerra.
A volte mi chiedo dove inizi e dove finisca la famiglia. Alcuni hanno costruito ponti e tracciato cerchi molto ampi che contengono persone di ogni cultura, colore, lingua. Allargano le braccia, partono all’avventura, danno ciò che possono, motivati dalla voglia di donare, di esserci per gli altri, di non lasciare indietro nessuno, forse per riequilibrare i destini tra chi ha troppo e chi ha poco. Marco Ventriglia ha trovato una grande famiglia in Nicaragua, dove da anni aiuta gli agricoltori a combattere contro siccità e uragani. Florence Labati ha lasciato una promessa in Costa d’Avorio, tornerà per un bambino e per salvare tante donne dalla miseria grazie al miele ticinese. Marco Andreoli costruirà orti biologici sulle Ande per un progetto di sensibilizzazione ambientale che coinvolge tremila allievi peruviani. Vi raccontiamo le loro storie per illuminare quanto c’è di meglio nell’essere umano.
L’altruismo ti nutre e non ti lascia mai solo. Lo dice spesso il Dalai Lama: ‘Imparate a essere saggiamente egoisti’. Mentre si fa beneficenza, lo attestano recenti studi, il corpo rilascia ormoni della felicità. Aiutando gli altri si aiuta anche sé stessi. Anche nella Bibbia si legge ‘vi è più gioia nel dare che nel ricevere’.