laR+ IL COMMENTO

La guerra, la neutralità e il pacco di Natale

L’iniziativa dell’Udc sostenuta anche dai rossobruni si basa su un falso storico e serve come giustificazione ideologica, oltre che per fare affari

In sintesi:
  • La modifica costituzionale escluderebbe l'adesione alle sanzioni internazionali
  • Due pensierini sul perché la neutralità non ha mai funzionato così
(Keystone)
27 dicembre 2022
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Avremmo preferito un pony, una scatola di Lego o un paio di calzini colorati, ma in questo inverno bellico Babbo Natale ci ha lasciato tutt’altro pacco: l’iniziativa per la "salvaguardia della neutralità svizzera" promossa dall’Udc. Coi toni passivo-aggressivi tipici di chi è avvezzo al contempo a comandare e a far la vittima, i promotori paventano una "svendita" di quella neutralità che dipingono con pastelli fiabeschi, come un’Heidi lontana dalle sorti del mondo (ma armata fino ai denti), che il Consiglio federale minaccerebbe con l’adesione alle sanzioni contro Mosca. Sanzioni che andrebbero vietate una volta per sempre con una modifica costituzionale.

L’argomentario è pieno di retorica sul glorioso passato elvetico, ai limiti della megalomania: si legge addirittura che "il mondo ha bisogno di una Svizzera neutrale" (fa tanto "nebbia su Brogeda, isolato il continente"). Al di là dei proclami un tanto al chilo, le mire sono le solite: sfruttare gli eventi per conquistare il voto delle frange più scioviniste della popolazione, continuando così a fare i propri affari con chi viola ogni norma del diritto internazionale. Non stupisce che all’iniziativa aderisca anche la sinistra rossobruna e antiamericana, al cui ideologismo incattivito servono scuse precotte per giustificare la sbandata filoputiniana. E allora ben venga usare il feticcio della neutralità, buono per sdoganare la connivenza coi peggiori regimi e il proprio priapismo illiberale.

Sarebbe bello non doverlo ripetere, ma magari aiuta: quella neutralità lì – quella di una Svizzera lontana da tutto e da tutti, perfettamente indipendente e ombelicale, indifferente ai destini del mondo come un dio aristotelico che pensa solo a se stesso pensante – non è mai esistita. Per questo Paese piccolo e ‘circondato’, approssimare il proprio agire agli equilibri internazionali è sempre stato inevitabile, che si trattasse di barcamenarsi di fronte alla Triplice Alleanza, al Terzo Reich o alle superpotenze della guerra fredda. Restando fuori dai conflitti armati, d’accordo, ma anche tenendo conto delle necessità dell’epoca. Non sarebbe neanche giusto liquidare questa "geometria variabile", come la definiscono gli storici, come mero opportunismo, anche se qualche mossa cinica c’è stata: la Realpolitik impone di fare i conti coi rapporti di forza.

E oggi? All’interesse di un Paese che deve all’Europa la sua prosperità economica e alla deterrenza nucleare atlantica la sua difesa – spiace deludere chi non se ne fosse accorto – si aggiunge la necessità di arginare una minaccia mai così grave e vicina, con un autocrate che si presenta come nemico giurato della democrazia e dello Stato di diritto. Normale, quindi, che la Svizzera confermi di stare dove è sempre stata: a Occidente. Normale che aderisca alle sanzioni decise dall’Ue e dagli Usa, come accade da lunghissimo tempo, riuscendo peraltro a evitare ulteriori coinvolgimenti.

Per l’Udc e i comunisti, che inventano una neutralità antistorica per farne totem e talismano, così non va bene. Meglio il business as usual con certi oligarchi e tiranni, spacciato magari per virginale dedizione a un mondo multipolare. E pazienza se questo porterà alla desertificazione delle relazioni diplomatiche, oltre a sigillare un’evidente complicità con l’invasore.

Caro Babbo Natale, il prossimo anno vorremmo un pony.