Il progetto inconcluso (e inconcludibile) di Chris McSorley e le idee fresche di Luca Gianinazzi, giovane tecnico che non ha paura delle sfide
«Ho sbagliato anch’io». Un’ammissione di colpa che in qualche modo potrebbe già considerarsi assolutoria, nel giorno forse più difficile di Hnat Domenichelli da quando s’è assunto il ruolo di direttore sportivo del Lugano: era il maggio del 2019. Quelle quattro parole pronunciate nel tardo pomeriggio di sabato, davanti ai giornalisti nella fremente sala stampa della Cornèr Arena, non sono soltanto un banale esercizio di autocritica: piuttosto, sono la dimostrazione che tutti sbagliano, prima o poi. Magari anche clamorosamente. E che – tanto per restare in tema Lugano – quella delle cantonate non era prerogativa esclusiva di Roland Habisreutinger, l’uomo a cui Domenichelli soffiò il posto.
Così, neanche un mese dopo il via al campionato, la prima panchina a saltare è quella di Chris McSorley. Pur se il sessantenne coach dell’Ontario nella corsa a chi si sarebbe fatto licenziare per primo era davvero in buona compagnia, dopo le polemiche estive sul conto di Grönborg a Zurigo e il pessimo avvio del Losanna di John Fust che era (e rimane) sulla graticola. A testimonianza della pressione che grava sulle spalle degli allenatori, più che su quelle di chiunque altro. Ma al di là del tempismo su cui si può sempre dibattere, a Lugano McSorley non è mai davvero riuscito a fugare i dubbi emersi al momento del suo ingaggio, un anno e mezzo fa: invecchiato secondo taluni soltanto perché non si mette più a minacciare gli arbitri; inadeguato per altri a causa di un gioco non abbastanza strutturato, la cui filosofia è rimasta immutata sin dagli anni in cui aveva saputo accendere l’entusiasmo dentro e fuori Les Vernets. Il Ticino, però, non è Ginevra, città in cui McSorley faceva e disfava a piacimento, almeno fino all’arrivo di Hugues Quennec.
Lui che ha sempre dato l’impressione di essere più dirigente e stratega che un semplice allenatore, si fa per dire, a Lugano si è messo a gestire una squadra che non sembrava tagliata a sua misura: infatti un Alatalo non è il Bezina dei tempi che furono, né un Arcobello può lontanamente assomigliare a un Winnik. Senza contare che alle nostre latitudini l’attesa del pubblico è ben altra (e lo stesso vale per la pazienza, anche questo va detto), così come diversa è l’aspettativa dei giocatori. I quali già durante l’estate hanno fatto capire a modo loro che avrebbero preferito disporre ad esempio di maggior libertà all’attacco, per poter dar sfogo alla creatività, e alla fine sono riusciti a imporsi nel braccio di ferro. Tutte queste considerazioni sono forse la più eloquente risposta alla domanda che s’è fatto sempre sabato pomeriggio in conferenza stampa lo stesso Domenichelli, quando ha detto «Chris è un bravo allenatore e una brava persona: speravo riuscisse a rifare quanto fatto a Ginevra, ma per qualche motivo non è funzionato».
Dopo Sami Kapanen e le sue innovazioni incompiute e dopo McSorley e il suo hockey ‘démodé’, ora c’è spazio per un giovane tecnico di casa nostra. Anzi, giovanissimo. Nonostante i suoi appena ventinove anni, Luca Gianinazzi dà tutta l’impressione di conoscere il fatto suo, e accettando il ruolo che gli è stato offerto così di punto in bianco non soltanto dimostra coraggio, ma implicitamente pure convinzione nelle proprie possibilità. Ciò che, naturalmente, è a dir poco fondamentale per assumere un ruolo come quello del coach, colui che dev’essere il leader indiscusso in qualsiasi spogliatoio, in cui prima o poi appariranno esplicite delle correnti, perché è innegabile che venti o venticinque persone non possano sempre essere d’accordo con lui. Nel motivare la decisione di non voler affidare pro tempore la gestione del gruppo a qualche allenatore rimasto a piedi – scelta perfettamente condivisibile, pur se in passato (l’esempio di Greg Ireland insegna) era capitato che un allenatore a interim potesse resistere alla prova del tempo e dei fatti –, le parole di Vicky Mantegazza in conferenza stampa legittimano un pensiero che aleggiava da tempo nei corridoi della Cornèr Arena, cioè che effettivamente un giorno Luca Gianinazzi sarebbe potuto diventare allenatore capo a Lugano. Ebbene, quel giorno è adesso. Con tutte le incognite del caso indubbiamente, ma pure con piena fiducia nelle indiscusse e indiscutibili qualità di un tecnico sì giovane, che ha tuttavia già saputo dimostrare la bontà del proprio lavoro alla guida degli Juniores élite bianconeri, gruppo che da tre stagioni fa stabilmente parte delle quattro migliori formazioni U20 a livello nazionale. Ed è vero che i ragazzi sono ragazzi e il professionismo è ben altra cosa, ma i risultati ottenuti ogni volta con giovani sempre diversi per l’inevitabile rotazione causata dall’inizio e la fine di un ciclo d’età, depongono indubbiamente in favore del giovane tecnico nato e cresciuto nel vivaio bianconero.
Quel che è certo, è che Gianinazzi e i suoi assistenti (a proposito: questo è l’unico nodo che resta da sciogliere) avranno il non facile compito di dover dare un nuovo assetto a un’automobile da corsa che per sua natura deve correre, quindi non ha tempo per fermarsi. Altrimenti detto: servirà pazienza, magari anche molta, ma dopo aver deciso di fare repentinamente questo passo la società non potrà non accordargliela. È la stessa pazienza di cui dovranno armarsi i tifosi, anche tenendo conto delle circostanze: di quella tolleranza, di quella tranquillità non beneficerà soltanto la nuova guida tecnica, bensì tutto l’ambiente chiamato ancora una volta a identificarsi in un nuovo ciclo, battezzato però – suo malgrado – a bordo di un treno in corsa.