laR+ IL COMMENTO

C’è un capitale da spendere. E va speso bene

Da McSorley a Gianinazzi, un travagliato cambio di rotta che diventa la soluzione per il Lugano che verrà. Non soltanto a livello di filosofia hockeistica

In sintesi:
  • Tre settimane di emozioni forti, e contrastanti, dopo una folle rincorsa durata mesi
  • La strada per il futuro è già tracciata, nel segno del rinnovamento (e ringiovanimento)
Tre settimane di emozioni. Di tutti i tipi
(Ti-Press/Golay)
28 marzo 2023
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Speranza, paura, sollievo. E poi ancora timore, apprensione, fervore (ebbrezza, persino), fiducia e, infine, delusione. Tutto in appena tre settimane: da quel grottesco sabato sera contro il Bienne, quando il Lugano era rimasto aggrappato alla postseason per un solo punto – anzi, a ben guardare per un solo gol –, fino a gara 6 di un caleidoscopico quarto con il Ginevra Servette. Tre settimane in cui i giocatori, e non solo loro, sono passati attraverso una serie infinita di emozioni contrastanti, che soltanto l’hockey – l’hockey dei playoff, almeno – è in grado di regalare. Emozioni, oltretutto, che mancavano da tempo, addirittura da prima della pandemia con quell’ampiezza, sbocciate sugli spalti di una Cornèr Arena che domenica, malgrado la sconfitta, ha tributato un lunghissimo applauso alla squadra di un Luca Gianinazzi apparentemente imperturbabile, lucido, determinato come al solito («Sono emozioni che rimarranno per sempre», le parole a caldo del giovanissimo coach), attorno a cui si è articolata la rinascita del Lugano. Si è articolata, scritto al passato, perché questo Lugano nel frattempo è già rinato. Sulle ceneri di un’idea fallita: pensare di poter piazzare in quello spogliatoio un Chris McSorley che è la risposta hockeistica al sergente Hartman di Full Metal Jacket, col risultato di mandare in frantumi anche l’elefante assieme alla cristalleria.

Più che del tentativo in sé, col senno del poi si può dire che il problema sia stato non accorgersi per tempo che c’era qualcosa che non andava. Difatti, è stato soltanto quando non c’erano più tappeti a sufficienza per nascondere la polvere che Hnat Domenichelli, quel famigerato giorno d’inizio ottobre, ha preso il toro per le corna, assegnando a Luca Gianinazzi l’apparentemente ingrato compito di rimettere insieme i cocci. Invece, il trentenne ex tecnico degli juniores élite nel giro di qualche mese ha fatto molto di più: è riuscito a dare un’identità precisa a quel gruppo, convincendolo che si sarebbe potuto meritare il posto in semifinale nonostante abbia dovuto spremersi per settimane anche solo per arrivare al decimo posto. E chissà come sarebbe andata a finire, se quel tiro di Samuel Guerra, nel terzo overtime di gara 3, invece di stamparsi sulla traversa sarebbe finito là dove meritava, regalando il successo ai ticinesi nell’estenuante maratona delle Vernets, in quel ventoso sabato notte.

Tuttavia, per onestà, non si può non ammettere che il Servette avesse qualcosa in più a livello di qualità. Così come non si può non accorgersi che questo Lugano abbia sofferto sul piano della profondità: senza il precoce ritorno di Mark Arcobello, infatti, Gianinazzi avrebbe dovuto giocare addirittura quattro partite su sei (o sette) con soli cinque stranieri in pista. Ed è vero, sfortuna vuole che l’americano si sia infortunato tre giorni dopo la chiusura del mercato, ma sapendo che Brett Connolly da qualche tempo non era nelle migliori condizioni fisiche possibili, l’arrivo di uno straniero in licenza B sarebbe stato quantomeno auspicabile. Come, del resto, a Lugano era già successo in passato, pensando soltanto all’arrivo di un Troy Josephs da Visp e che in Ticino è poi finito addirittura per restare.

Ormai, però, tutto questo è passato. Il futuro, invece, è già qui: si chiama Luca Gianinazzi, e questa è la miglior notizia possibile per il club presieduto da Vicky Mantegazza. Non soltanto per l’attrattività del credo hockeistico del suo giovane tecnico, che si tradurrà ben presto in un naturale rinnovamento e ringiovanimento dei ranghi (anche tra gli stranieri, visto che quattro giocatori su otto sono in scadenza), bensì soprattutto per il repentino capitale di fiducia, fascino e autorevolezza che il suo giovane tecnico ha saputo costruirsi su quella panchina negli ultimi sei mesi. E che potrà divertirsi a spendere nei prossimi anni.