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La politica non chieda fiducia ai giovani con cambiali in bianco

Molti ragazzi mostrano disinteresse alla cosa pubblica? Si cominci a dialogare davvero, a capire i loro bisogni e aiutarli a costruire il loro futuro

La responsabilità si insegna anche con l’ascolto
(Ti-Press)
7 maggio 2022
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Rammaricarsi e preoccuparsi per la disaffezione dei più giovani alla politica e alla cosa pubblica, così come fatto in Gran Consiglio nel recente dibattito sulla Civica a scuola, è un esercizio sterile e vuoto in assenza di una reale disposizione a voler prima conoscere, poi capire il mondo a cui ci si intende rivolgere.

Un mondo, quello dei giovani, messo a durissima prova dalla pandemia. La chiusura delle scuole e l’insegnamento a distanza hanno acuito le disuguaglianze e messo un freno alla socializzazione in un’età dove questa è un fattore fondamentale. L’impatto emotivo del ‘portare il contagio in giro’, del non poter vedere per mesi e mesi gli amici, i parenti, i nonni, ha cambiato consuetudini e fatto pagare prezzi alti, non solo ai più fragili.

Lodevoli, certo, sono state le iniziative messe in campo da alcuni partiti per creare spazi di aggregazione, per ripensare alcune dinamiche, per favorire la ripresa sociale di una generazione che ne ha sicuramente bisogno. Ma senza capire che le origini di molto disinteresse nei confronti della politica sono da cercare ben prima della pandemia non si fanno passi avanti.

Quello sulla fuga dei cervelli è un dibattito ozioso se poi non si agisce con concretezza affinché, dopo aver studiato oltre Gottardo o all’estero, a un giovane ticinese, formato e competente, non viene data la possibilità di esprimere al meglio il proprio talento a casa sua. Un discorso che non vede al centro solo il pur essenziale salario, bensì un insieme di tasselli che uniti vanno a comporre la qualità di vita che è basilare perché un giovane scelga di tornare in Ticino invece di rimanere a Friborgo, Berna o Zurigo. Fare qualcosa in questa direzione, cercare di coinvolgere di più i ragazzi per comprendere certe esigenze, sarebbe un miglioramento rispetto allo stanco dolersi del fatto che si seguano poco i lavori del Gran Consiglio.

I giovani non vanno puniti per esserlo, e allo stesso tempo vanno responsabilizzati senza camicie di forza. È importante che la politica capisca che se non si risolve la questione della fiducia reciproca nei confronti dei giovani si rischia, una volta che questi giovani saranno diventati adulti, uno scollamento pericoloso e un aumento delle possibili fratture sociali. Il rapporto con una generazione avvertita come lontana non migliorerà pretendendo un’attenzione senza compromessi, senza risposte alle domande, senza cura per i bisogni. Come non migliorerà vincolando lo studio al successo professionale nei decenni a seguire, le passioni alle richieste del mondo economico, o con il giudizio col ditino alzato se in treno li si vede guardare i video di TikTok invece che ascoltare la Settima di Beethoven diretta da Kleiber.

Occorre distinguere i ruoli. La scuola ha il compito ineludibile di formare. Le famiglie e la società hanno quello di accompagnare, crescere, inserire un giovane nel mondo. Ma la politica ha il compito di creare quelle condizioni che permettano alle ragazze e ai ragazzi di esprimere tutto il loro talento, i loro interessi, la loro fame, le loro idee e il loro desiderio di conoscere e realizzarsi. Di uscire presto da casa, e dopo di metter su famiglia, vivere serenamente con il proprio lavoro, pensare a dei figli senza farli dipendere dal reddito. Lo sta veramente facendo, questo, la politica? Ecco la vera domanda. E la risposta potrebbe non piacere.

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