In montagna avere attenzione per le misure di protezione contro il coronavirus e per l’ambiente significa avere a cuore il lavoro di tante persone
Lasciare tutto come lo si è trovato dovrebbe essere una delle prime regole del vivere civile. In ogni ambito, ovunque si sia ospiti. Ancor di più se ad accogliere è la natura, come nel caso delle gite in altura che trattiamo nell’edizione di oggi. “Noi abbiamo bisogno della montagna, ma la montagna non ha bisogno di noi” sintetizza a pagina 3 Enea Solari della Federazione alpinistica ticinese. E ha ragione. È il minimo indispensabile pretendere che chi si approccia alle meraviglie della natura lo faccia con tutta la consapevolezza che occorre, e in sicurezza. Considerando, va da sé, due fattori. Il primo è che la pandemia e le decisioni prese dall’autorità rendono difficile il lavoro a rifugi e capanne, dove molte persone si sono prodigate in queste settimane per offrire ai turisti un’esperienza comunque piacevole: rispettare la montagna significa anche rispettare il tempo, la passione, lo sforzo e tutto il lavoro dedicato da chi, tra una restrizione e un divieto, ha comunque aperto le proprie porte. Il secondo è che riempirsi la bocca di attenzione per l’ambiente quando si parla di scioperi studenteschi o quando l’attualità lo facilita lascia un po’ il tempo che trova se poi, nella quotidianità, si è i primi a non corrispondere coi fatti alle parole. In momenti come questi, dove è richiesta responsabilità individuale e dove le indicazioni - gradite o sgradite poco conta - sono chiare, bisogna chiedersi quali difficoltà provochi il seguirle. Si tratta semplicemente di ricordarsi una riservazione, o di guardare bene il tracciato di un sentiero prima di incamminarsi. E di tener presente che il rispetto per l’ambiente e la prevenzione da una seconda ondata pandemica non sono appaltati esclusivamente allo Stato, ma passano anche dall’individuo. Da ognuno di noi.