il dibattito

Un sì per la montagna

Per rilanciare la montagna è necessario interrogarsi sulla presunta sacralità della natura selvaggia, sostituendola con il termine biodiversità, da intendere però in termini non oppositivi rispetto alla presenza umana

La modifica della legge sulla caccia sta creando un confronto animato, non privo di colpi bassi. È un modo di far politica basato su spettacolarità ed esagerazioni, che mira a parlare alla pancia delle persone; è invece importante cercare di essere oggettivi. Voterò sì alla nuova legge. Si tratta di un buon compromesso, volto sia a rafforzare la protezione di molte specie di animali selvatici e della natura, sia a regolare maggiormente l’operato di cacciatori e contadini. Non può lasciarci indifferenti la crescita esponenziale del numero di lupi osservati in Svizzera: dal 2010 ad oggi si è passati da una decina a un’ottantina di esemplari. La nuova legge, opportunamente, tiene conto di questa repentina evoluzione e soprattutto dei conflitti che essa genera. Il lupo è e resterà una specie protetta, ma ragionevolmente si propone che ai singoli Cantoni venga accordata la sua regolamentazione preventiva sugli effettivi, adeguata alla sua diffusione. Sottolineo che regolamentare non significa sterminare.

Regolamentare non significa sterminare


Riferendomi al Ticino, a livello pratico, la modifica della legge e la questione del lupo interessano maggiormente le zone montane. Ma, come ben sappiamo, l’esito di queste votazioni è determinato dai centri urbani. Le zone più discoste del Ticino vivono un periodo difficile e le prospettive non sono idilliache. La politica deve giustamente interrogarsi e soprattutto individuare soluzioni idonee per provare ad invertire la tendenza dello spopolamento e dell’abbandono, che non giova a nessuno. Soprattutto occorre evitare strategie che creino l’effetto contrario: gli eccessivi vincoli in tema di ristrutturazione dei rustici e la questione sulle residenze secondarie (che inopportunamente mette sullo stesso piano paesini d’alta montagna con veri e propri villaggi di vacanza costruiti da zero), ad esempio, non aiutano di certo il futuro di queste periferie.
Ed è qui che si inserisce il discorso sulla legge in questione. Per rilanciare la montagna è necessario interrogarsi sulla presunta sacralità della natura selvaggia, sostituendola con il termine biodiversità, da intendere però in termini non oppositivi rispetto alla presenza umana. Ciò “richiede il ritorno a un ruolo attivo e consapevole dell’uomo come agente naturale capace di coltivare la diversità, controllare l’avanzata incontrollata della vegetazione e recuperare la polifunzionalità delle foreste.” (vedi “Montagne di mezzo. Una nuova geografia” di Mauro Varotto).

Eccessivi sbilanciamenti da una parte o dall’altra sono inopportuni

Difendere acriticamente e ideologicamente l’ambiente naturale porterà, gradualmente, all’esclusione della dimensione abitativa dalla montagna, dimenticando il prezioso ruolo anche ambientale della presenza dell’uomo. Questa indispensabile centralità nella relazione tra uomo e natura va salvaguardata e favorita continuamente, con equilibrio e ragionevolezza; eccessivi sbilanciamenti da una parte o dall’altra sono inopportuni. A meno che si voglia museificare le zone più periferiche, in favore di una natura selvaggia dominante e una messa al bando dell’uomo e delle sue attività. Naturalmente questo scenario sarebbe deleterio. La nuova legge sulla caccia, invece, ha il merito di individuare un buon compromesso tra le parti.
È essenziale che tra la montagna e il mondo urbano si crei una sorta di “nuovo patto”, improntato sulle relazioni con benefici reciproci, su visioni d’insieme ma, contemporaneamente, alla diversificazione delle prospettive. La montagna non può ridursi a luogo di svago e memoria e di riserva ecologica; l’uomo, rispettoso dell’ambiente circostante, deve tornare ad essere protagonista. Temo che le motivazioni mosse da chi combatte la legge sulla caccia – per taluni volutamente, spinti da questioni ideologiche; per altri inconsciamente – non percepiscano la posta in gioco: a rischio c’è il futuro di queste zone già di per sé fragili. Rigidi provvedimenti di protezione ambientale (o, in questo caso, un’incontrollata espansione del lupo) provocheranno il colpo di grazia per le popolazioni locali e le pratiche legate all’attività agropastorale. Una montagna selvaggia senza l’essere umano non serve a nessuno; neppure alle zone urbane.