Sabato 31 agosto. Guardo ammirata un agile pastore che manda avanti una ventina di mucche da latte lungo la jeepabile; la casara, in testa al corteo, non perde di vista niente. È in corso la transumanza dall’Alpe Foppa (1’530m) verso la zona del Piano di Mora (1’129m): entro breve gli animali si installeranno, come da tradizione, in un pascolo situato a una quota inferiore. Prima sorpresa: la vasca per l’abbeveraggio è sparita. Nessuno sa come. Nessuno sa dove. Bisogna quindi spostarsi di qualche centinaio di metri, nei pressi della stazione intermedia degli impianti di risalita del Monte Tamaro. Seconda sorpresa: una notevole fetta di pascolo è stata letteralmente polverizzata dagli escavatori che, da qualche mese, stanno predisponendo il cantiere per il rinnovo degli impianti di risalita. Le bovine si muovono disorientate tra l’erba, le felci e le ripide piste create qualche giorno prima dai trax: aggirano le ruspe, si addentrano nella faggeta, tornano indietro a cercare un po’ di erba nuova. Attorno a loro, larghe lingue di terra nuda e riarsa. Uno spettacolo desolante, incongruo.
Nessuna comunicazione è stata fornita agli alpigiani in merito all’inizio dello scavo, ai disagi, all’erosione di quella parte di terreno pascolabile. Nelle prossime settimane queste persone (che si sobbarcano fatiche disumane per darci da mangiare) dovranno lavorare in condizioni tutt’altro che ottimali. Eppure, per poter usufruire di quell’erba, l’assuntore paga un canone al Patriziato di Rivera. Il quale, immagino, possa avere voce in capitolo, anche per il dovere di mantenere intatto il valore dell’alpeggio.
Diversi fattori stanno mettendo in ginocchio gli alpigiani, già provati dalla siccità e dalle predazioni del lupo (anche nella regione del Monte Tamaro). Ora ci si mettono pure i cantieri del turismo insostenibile.