Il lupo non è più un animale selvatico che vive in luoghi discosti: è qui tra noi. Negli scorsi giorni un lupo si è aggirato tra Biasca e Castione: quando un pastore, nel pieno della notte, è uscito a vedere lo ha trovato a una ventina di metri, che lo guardava mostrandogli i denti. Questo significa che il lupo non ha più paura dell’essere umano, e si comporta come se fosse l’uomo a entrare nel suo territorio. Nuove predazioni sono certe, ma non solo: l’assenza del timore verso gli umani implica il rischio che il lupo si attacchi a cani e, perché no?, anche a bambini. Per l’orso la strategia era chiara: bisognava abbattere tutti gli esemplari che si avvicinavano con troppo poco timore alle zone abitate. Il lupo non è meno pericoloso, ma per ora la strategia è diversa. I media mostrano immagini molto distanti dalla realtà: un gregge di pecore tranquille, dei lupi con il loro fascino selvaggio. La realtà è un’altra: pecore con le mammelle lacerate, agnelli con la gola sbranata che vivono ancora espirando sangue dalla trachea aperta... C’è una sorta di barriera invisibile tra il mondo degli allevatori di montagna e il grande pubblico, che non si rende conto che siamo confrontati a un cambiamento epocale. Molti piccoli allevatori hanno già rinunciato, e anche chi lo fa per mestiere sta pensando a rinunciare. Non solo per i costi aggiuntivi che riducono a zero un rendimento che era già minimo, ma anche per il dolore di vedere degli animali accuditi ogni giorno dell’anno finire con una morte atroce. Il risultato sarà, già da quest’anno, l’abbandono di pascoli da sempre usati per il piccolo bestiame, guadagnati a fatica fin dal Medio Evo. E anche una diminuzione della produzione di carne indigena, di ottima qualità e con animali accuditi bene. È bene prenderne coscienza.