Ultimamente la stampa ha riportato con particolare solerzia e dovizia di nomi e dettagli, due casi sfociati con l’arresto di due preti. Nel primo il professore della facoltà di teologia don Azzolino Chiappini si è trovato sommerso di accuse infamanti poi rivelatesi inconsistenti. Ha dovuto concedere un’intervista per tentare di spiegare. Adesso un’altra copiosa telenovela attorno all’arresto di don Samuele Tamagni, che come scritto si è lui stesso presentato ad autodenunciarsi. Avrebbe rubato una consistente somma ai genitori di cui aveva ottenuto la curatela. Una piccola risulta sottratta alla fondazione omonima. Chissà perché in questi casi non ci arriva prima un organo revisore o qualcuno che vigili a evitare il peggio. Sembra quasi esagerata questa enfatizzazione del furto di famiglia, come se fosse così esecrabile e rara una sottrazione fra familiari, nel cui ambito i confini fra lecito e illecito diventano labili. Forse solo la coscienza del prete ha portato allo scoperto un fatto che sarebbe passato inosservato. Questo è un merito che dovrebbe far riflettere. Come si intuisce la molla per l’uso di centinaia di migliaia di franchi, deriverebbe dall’amicizia con un amico senza nome. È forse la solitudine in cui la Chiesa costringe dogmaticamente i preti? Una messa alla gogna per debolezza umana, quando molte tristi vicende di molestie a minori se restiamo in ambito clericale hanno attraversato anni o secoli prima di venir scritte. Oggi vediamo l’imbarazzo crescente del papa. La Chiesa stenta a liberarsi di quel fardello pesante. Per non dire del celibato o peggio degli intrighi col tema del Dio soldo, dalla finanza vaticana su fino alle tasse di culto prelevate con lo Stato a far da spalla, materia e spirito, amen.