Il caso che oppone il consigliere di stato Claudio Zali, parte lesa in un processo contro una sua ex, a La Regione, che ha riferito della vicenda in alcuni articoli, si è arricchito di una nuova puntata dopo che il pretore di Bellinzona Marco Ambrosini ha vietato al quotidiano di pubblicare il contenuto dell'atto di accusa e della petizione allegata. Inutile allo stato delle cose prendere partito; meglio è ricordare il quadro normativo vigente – quello che tutti teoricamente devono rispettare – e cercare di apprendere da quanto successo. Perché quello che oppone il consigliere di Stato al quotidiano è un classico caso in cui si scontrano diversi principi, in sé sacrosanti ma di difficile coesistenza.
Senza andare a scomodare la Cedu, già la Costituzione federale è chiara: protegge la sfera privata delle persone (art. 13), politici compresi, ma al tempo stesso garantisce la libertà di opinione e informazione (art. 16) e dei media (art. 17). Garantisce anche (art. 30) che le udienze giudiziarie e le sentenze siano pubbliche; con eccezioni, ma limitate a casi particolari.
La dichiarazione dei diritti e dei doveri dei giornalisti – il codice deontologico della professione – riprende questi principi cercando una non facile quadratura del cerchio. Al punto 7 afferma che bisogna rispettare la vita privata, “persone celebri comprese”, purché “l’interesse pubblico non esiga il contrario”. Perciò il giornalista deve sempre soppesare il diritto del pubblico a essere informato con quello della protezione della dignità delle persone, ma dove si collochi la linea di confine è questione ballerina. “Il criterio da rispettare – si limita ad affermare il Consiglio della stampa – è quello della proporzionalità”, ciò che introduce in un sistema apparentemente obiettivo un criterio di valutazione soggettivo. Esattamente come fanno i giudici quando emettono una sentenza; esattamente quello che ha fatto il pretore sentenziando che “ogni individuo ha una sfera intima che deve essere rispettata, soprattutto quando si trova in una situazione delicata, come essere vittima di un reato”.
Bisogna tuttavia rilevare che il concetto di “sfera privata” è evoluto, e non poco, da quando a fine XIX secolo l’avvocato Samuel Warren, stufo di leggere sul quotidiano locale l’attività mondana di moglie e figlia, scrisse un saggio intitolato ‘Diritto della riservatezza’, aprendo così al riconoscimento giuridico della nostra intimità e alla sua protezione. Tanto che spesso vi abdichiamo inconsciamente, in modo quasi totale quando sbandieriamo la nostra vita sui social media, o consciamente quando diventiamo partecipi di un procedimento giudiziario, per Costituzione appunto pubblico. Per questo è difficile seguire il ragionamento di Ambrosini quando giustifica sì “la diffusione della notizia, ma solo nella misura in cui riguarda la parte essenziale della vicenda”. Per il pretore è dunque lecito dare notizia di un processo che coinvolge un politico, ma vi pone dei limiti non solo giuridici, com’è sua prerogativa, ma pure professionali e deontologici, che prerogativa sua non è. Per di più in modo poco chiaro – non è mai evidente capire dove inizi e finisca la “parte essenziale” di una vicenda.
Punto inoltre delicatissimo, la decisione si applica solo a laRegione, come aveva chiesto il consigliere di Stato, non agli altri media, che quindi potrebbero paradossalmente riferirne senza problemi. Una crassa discriminazione, che classifica i media in testate conformi (a regole, leggi, morale…) e altre meno, una sorta di divide et impera pericolosissimo che ricorda regimi che di liberale e democratico hanno spesso solo la facciata. Anche per questo è imperativo riaffermare qui il principio centrale e inalienabile della libertà di stampa e informazione, un principio che il pretore forse inconsciamente ha sovvertito, ossia che, tenendo ovviamente sempre conto dei principi deontologici ed etici della professione, sta alle redazioni decidere se e come riferire di un fatto e darne notizia (numero di righe, taglio dell’articolo, collocazione nel palinsesto e in pagina ecc.), mai al magistrato di turno. Men che meno al politico.
Va da sé che le persone coinvolte negli articoli, personaggi pubblici compresi, hanno il diritto di far valere le ragioni del proprio eventuale scontento nelle sedi opportune (Consiglio della Stampa e/o tribunali), senza che questo causi loro pregiudizio o scandalo e che questo significhi “anticipare il giudizio di merito”.
Infine, non fosse solo per il fatto che in una società ipermediatizzata come la nostra l’effetto boomerang è sempre dietro l’angolo, consigliamo a chiunque di evitare azioni che rischiano di avere il sapore di indebita pressione se non addirittura di censura. La libertà, non solo quella di stampa, è infatti cosa delicata, che va sì usata con giudizio e cautela, ma al tempo stesso difesa con assoluto e determinato vigore.