Nel nostro Paese i processi sono pubblici, si tratta di un principio che ereditiamo dalla nascita dei sistemi liberali e democratici, una regola garantita in Svizzera dalla Costituzione federale e dal Codice di diritto processuale penale. Certo, le norme in materia prevedono anche delle eccezioni, ci sono casi in cui il giudice può decidere di svolgere i dibattimenti a porte chiuse. Capita ad esempio quando il processo in questione coinvolge anche dei minorenni o quando non si vuole mettere a repentaglio l’ordine pubblico. In regola generale però i processi in tribunale sono aperti al pubblico, chiunque può andarci. E tra chi frequenta regolarmente queste aule ci sono i giornalisti. Lo fanno per dovere di cronaca, riferirne fa semplicemente parte del loro lavoro. C’è pertanto da restare sbalorditi nell’apprendere che il Consigliere di Stato Claudio Zali si sia mosso per impedire l’accesso dei giornalisti de laRegione a un processo che lo vede coinvolto come accusatore privato. La vicenda ruota attorno a una donna, con cui lo stesso Zali aveva una relazione, accusata tra l’altro di tentata estorsione, diffamazione e ingiuria ai danni del Consigliere di Stato. Uomo di legge, il ministro è da anni un personaggio pubblico, con una carica politica di alto livello. Seguire un processo che lo coinvolge – e in cui la persona imputata respinge totalmente le accuse a suo carico – fa sicuramente parte non solo dei diritti ma anche dei doveri di una redazione giornalistica. La prassi del Consiglio svizzero della stampa prevede questo principio: più un personaggio, e la sua carica, sono pubblici e meno può essere protetta la sua sfera privata. Un concetto ribadito più volte da questo Consiglio, l’organo di riferimento a livello nazionale per quanto riguarda l’etica professionale dei giornalisti. Ciò detto è indubbio che anche la sfera privata, e ancora più quella intima, di un Consigliere di Stato devono poter essere protette. Ma poter assistere ad un processo di natura penale in cui compare anche un ministro è sicuramente di interesse pubblico, poi spetta alla redazione decidere se e come riferirne, tenendo conto, appunto, del rispetto della sfera privata e intima delle persone coinvolte. E dei principi etici che ogni redazione è tenuta a rispettare. In questo caso a destare stupore è anche il tentativo di penalizzare una sola redazione. Se la vicenda, come ritiene Zali, “riguarda solo ed esclusivamente fatti privati” allora il Consigliere di Stato avrebbe dovuto chiedere di poter svolgere il processo a porte chiuse. Cosa che invece non ha fatto, come a dire che i fatti sono privati se ne scrive laRegione, mentre possono essere considerati pubblici se ne riferiscono gli altri media ticinesi. Decisamente una bizzarra interpretazione della libertà di stampa. A monte di questi dissapori, va ricordato, ci sono un paio di articoli che laRegione ha pubblicato su questa vicenda e che hanno irritato il ministro leghista. Contro ogni pubblicazione giornalistica c’è la possibilità di procedere con dei ricorsi al Consiglio svizzero della stampa o fino al Tribunale federale. Passi che, per quanto ne sappiamo, Claudio Zali non ha compiuto. I ricorsi sono leciti, e ci mancherebbe che non fosse così, impedire ai giornalisti di seguire un processo invece proprio non lo è. Da un ministro la nostra Associazione si aspetta un atteggiamento ben diverso nei confronti dei media.