laR+ I dibattiti

La strada dell’asino e quella dell’uomo

(Ti-Press)

A pochi giorni di distanza dalla recente tornata di votazioni popolari, caratterizzata da alcuni risultati inattesi, i commenti si sono concentrati a giusta ragione sulla portata e sul significato del no popolare al potenziamento delle strade nazionali. La bocciatura di un progetto infrastrutturale è probabilmente il fallimento più grave con il quale un governo può trovarsi confrontato. Figuriamoci quando, in un sol colpo, a essere bocciati risultano essere ben sei progetti infrastrutturali, la cui elaborazione è durata anni, superando esami e verifiche molto rigorosi, in termini di rapporto costi-benefici.

La lettura di questo risultato non è affatto scontata. Avendo avuto l’occasione di intervenire, a caldo, in occasione di un dibattito organizzato sul tema della mobilità, mi sono interrogato a lungo sulle ragioni che lo hanno determinato. A maggior ragione alla luce del fatto che, all’inizio della campagna in vista della votazione popolare, i primi sondaggi preconizzavano l’approvazione del pacchetto di interventi. L’impressione che ho maturato è stata quella per cui il Consiglio federale, la maggioranza del Parlamento e il comitato di sostegno abbiano largamente sottovalutato la dinamica legata al fatto che gli interventi riguardassero unicamente 6 Cantoni su 23 e, nel contempo, che per convincere la popolazione sulla necessità di effettuare, in questo particolare momento storico, degli investimenti così importanti, fosse necessaria una comunicazione molto più precisa ed efficace.

Il vero – e fondamentalmente unico – interrogativo che la classe politica dovrebbe porsi è quello di conoscere quante persone domenica siano state messe nella condizione di sapere su cosa stessero effettivamente votando e, concretamente, anche solo di saper indicare uno solo dei progetti posti in votazione. Senza alcuna pretesa di esaustività o scientificità, commentando il voto con le persone che ho avuto modo di incontrare, ho potuto constatare che sostanzialmente nessuno (nemmeno tra quelli che hanno votato a favore del “pacchetto”) era in grado di elencare più di un progetto. Stando così le cose, non sorprende affatto che il Popolo sovrano, confrontato e preoccupato per gli aumenti delle casse malati, la diminuzione del potere d’acquisto e le incertezze legate agli scenari geopolitici internazionali, non abbia ritenuto opportuno spendere 4,9 miliardi di franchi senza nemmeno sapere bene per cosa.

La necessità, impellente, di organizzare in maniera gerarchica le vie di transito non è un tema nuovo. Un visionario come Le Corbusier l’aveva già riconosciuta nel 1925 (!) allorquando, parlando di urbanistica, già rilevava la pressante esigenza, per evitare di farsi soffocare dal traffico, di disporre di strade dimensionate correttamente e strutturate secondo precise gerarchie. Che le autostrade siano state uno dei principali fattori dell’incredibile sviluppo e del benessere che il nostro Paese è stato in grado di creare tra gli anni 60 e 80 del secolo scorso è pure un dato di fatto incontrovertibile.

L’idea di fondo delle autorità federali, che è quella di realizzare tutti i potenziamenti possibili del trasporto pubblico e, nel contempo, di potenziare le infrastrutture stradali, laddove necessario, già solo alla luce dell’aumento della popolazione residente, è perfettamente logica e lineare. Il vero problema probabilmente è quello che a mancare, oggi, è una classe politica in grado di interrogarsi sui problemi e di proporre alla popolazione visioni convincenti su quello che è giusto fare per assicurare al nostro Paese uno sviluppo positivo e sostenibile per i prossimi vent’anni. Senza visioni convincenti è impossibile elaborare una comunicazione efficace e, parafrasando Le Corbusier, persino distinguere la strada dell’asino (che procede a zigzag, perdendosi dietro ogni cosa) da quella dell’uomo, che dovrebbe invece portare verso una meta ben definita. La speranza è quella che, per una volta, la lezione possa servire.