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Crisi della giustizia o crisi (indotta) dello Stato

(Ti-Press)

In Ticino da diversi mesi a questa parte si è scritto e parlato molto di crisi della Giustizia. Il potere giudiziario è uno dei tre poteri, con quello legislativo (Gran Consiglio) e quello esecutivo (Consiglio di Stato). La Costituzione cantonale del 1997, che ha sostituito dopo 167 anni la prima, illuminata per quei tempi, Costituzione del 1830 ticinese ispirata dal liberale Stefano Franscini, conferma opportunamente, direi necessariamente, il principio della separazione dei poteri con tre capitoli diversi. Nell’art. 73 precisa che “i tribunali esercitano il potere giudiziario e sono vincolati dalla legge”. Negli articoli successivi si distingue tra giurisdizione civile, penale e amministrativa. La vigilanza sui magistrati è esercitata dal Consiglio della magistratura, composto da sette membri, che ne riferisce al Gran Consiglio (non al Consiglio di Stato). I suoi membri sono eletti dal Gran Consiglio (4) e dall’Assemblea dei magistrati (3).

La crisi della giustizia ticinese apparentemente oggi riguarda “solo” il tribunale penale. Forse quella crisi si palesò per la prima volta quattro anni fa con il famoso scontro tra il presidente del tribunale penale Mauro Ermanni e il Procuratore generale Andrea Pagani. I fatti più recenti – che coinvolgono giudici e procuratori con accuse reciproche che vanno dal mobbing all’incompetenza, alla nomina di procuratori straordinari esterni al Cantone per inchieste che finora si sono concluse in un nulla di fatto e all’elezione da parte del Gran Consiglio di due nuovi procuratori accompagnate da sospetti e veleni – hanno alimentato un clima inaccettabile in un settore delicato quale è quello della giustizia penale. Un settore che richiede, più di altri, imparzialità, fiducia e collaborazione.

Nel Messaggio 4341 del 1994 sulla nuova Costituzione cantonale si può leggere “queste norme (…) confermano soprattutto la flessibilità dell’ordinamento, che conferisce al legislatore adeguate competenze per far fronte in futuro a eventuali nuove esigenze”. Quindi se ci fossero problemi di funzionamento la Costituzione offrirebbe al potere esecutivo e a quello legislativo ampie possibilità di apportare i necessari cambiamenti. L’iniziativa, qualora necessitassero cambiamenti per evitare pericolose derive, dovrebbe essere innanzitutto del Dipartimento giustizia e, in secondo luogo, del Gran Consiglio.

Tuttavia credo che la situazione attuale e il malessere che l’accompagna siano (anche) la conseguenza delle sistematiche picconate assestate dal ‘Mattino della Domenica’ (che non è (più) il giornale della Lega!) nei confronti dell’immagine del nostro Stato e di chi lo rappresenta. Non si può definire per più di 30 anni i cinque consiglieri di Stato (compresi i propri) “i cinque bambela”, denigrare per principio i funzionari dello Stato indipendentemente da fatti reali e comprovati, senza pensare che questo non abbia una influenza pessima sul clima all’interno dell’amministrazione cantonale, sull’autostima di chi ci lavora, sul senso di responsabilità di ogni funzionario.

Quando nel 1987 sono entrato in Consiglio di Stato e ho assunto la responsabilità del Dipartimento giustizia il clima era completamente diverso da quello che appare oggi. Malgrado che la mia elezione non fosse stata digerita da molti, ho trovato nella Magistratura e nell’Amministrazione un clima di grande collaborazione che mi ha permesso di realizzare riforme importanti, relative al Codice di procedura penale, ai rapporti Stato/Chiesa ecc. Tutti problemi che mi erano completamente sconosciuti ma che, grazie all’aiuto di Magistrati e funzionari, ho potuto capire, ho potuto fare miei, permettendomi di portare davanti al Gran Consiglio proposte che vennero ritenute utili al Paese e accettate. Il principio era quello che lo Stato e le sue necessità sono più importante delle divergenze e delle simpatie politiche. Era un mondo virtuoso che applicava con convinzione e anche con passione l’etica della responsabilità di Max Weber. I magistrati, compresi i consiglieri di Stato, ma anche i funzionari a partire dai segretari di concetto prima e dai capi divisione dopo la riforma del lago d’Orta (che fu pure un significativo momento di collaborazione interdipartimentale), erano in genere circondati da stima e rispetto e guardati con ammirazione e riconoscenza dal Paese. Anche questo contribuiva a creare un clima di lavoro positivo. Oggi quel clima appare rovesciato con effetti perniciosi, anche a causa delle picconate trentennali del ‘Mattino’. Perniciose per il clima di lavoro e la produttività dello Stato in generale e non solo per la Giustizia. Perniciosi per la collettività, fatta eccezione di chi si augura uno Stato minimo, dimostrando che quello attuale è incapace di realizzare il “bene comune” in campi fondamentali come la socialità, la formazione, la sanità, la giustizia, le comunicazioni e delegando anche questi compiti fondamentali per un vivere civile al mercato. Mercato che assolve un compito fondamentale per creare la ricchezza, ma che non è il sistema ideale per la sua ripartizione.