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E sempre allegri bisogna stare

Ma che economia vogliamo in questo cantone? Di questo passo arriveranno anche le ditte cinesi, perché l’importante è risparmiare sulla manodopera

(Ti-Press)

Il Ticino sta diventano terra di delocalizzazione. L’ultima notizia è che un’azienda come Zalando ha intenzione di trasferirsi, portando con sé non solo un’idea di società che predilige la grande distribuzione al commercio al dettaglio, lo svuotamento dei centri cittadini, ma anche una politica salariale che mira costantemente al ribasso (per venire in Ticino licenzia nel Canton Soletta 350 persone con contratti inaccettabili).

A capo di questa nuova struttura, e non sorprende, sta una società inquisita in Italia per gestione fraudolenta del personale. In buona sostanza, un’unione che dal punto di vista della qualità e della solidità dei posti di lavoro si può definire con un solo termine: fuffa.

Ci si aspetterebbe una presa di posizione corale dei nostri rappresentanti politici e del mondo del lavoro, che all’unisono esprimano un solido e vibrante: basta! a questo genere di attività che indebolisce e precarizza l’economia del nostro territorio. Invece, nelle stesse ore, i partiti di maggioranza, che tanto si sentono superiori, vicini alla pancia del Paese e lungimiranti quanto a visione del futuro, presentano con tanto di lustrini un’iniziativa per tagliare in 5 anni poco meno di 600 posti di lavoro nell’amministrazione cantonale.

Il tutto senza proporre un’indagine sugli effettivi bisogni o sulla necessità di avere direttive chiare sulla qualità dei servizi. Non sentono nemmeno la necessità di accompagnare la loro proposta con un chiaro invito ai parlamentari a ridurre inutili leggi che gonfiano le trafile burocratiche. Niente di tutto ciò. Una bella cifra di posti da sopprimere, una percentuale sbattuta in faccia, come viene viene, colpendo alla cieca: pensionamenti, partenze e morti. Tanto si sa che chi lavora per lo Stato ha il sudoku nella tasca dei pantaloni.

Quello che è chiaro in questa politica sempre più improvvisata, aggressiva e ottusa è che la vita reale delle persone conta sempre meno. I posti di lavoro con un salario giusto, che consentano, banalmente, di pagare la cassa malati e l’affitto senza gli incubi la notte, sono ormai come le foglie sugli alberi d’autunno…

Ma che economia vogliamo in questo cantone? Se, come sembra, ai partiti di maggioranza non interessa la promozione di salari finalmente maggiori rispetto a quelli attuali (di oltre mille franchi inferiori alla media svizzera), allora cancelliamo pure i posti di lavoro pubblici. Siamo in una regione in cui, su 40'000 aziende, più del 90% ha meno di 10 dipendenti e solo 64 aziende ne hanno più di 250; tra queste spicca lo Stato, che lo si voglia o no, il maggior datore di lavoro del Ticino che paga salari superiori alla media, seppure infimi in confronto al resto della Svizzera. Seguendo la logica degli iniziativisti, si cancelleranno 580 impieghi con stipendi degni di questo nome; si toglieranno dunque a 580 famiglie delle reali possibilità di sussistenza. E non si invoglieranno certo i famosi cervelli in fuga a tornare in Ticino, perché anche i cervelli hanno uno stomaco, e pure un cuore.

La Rsi, con l’iniziativa “200 franchi bastano” ancora nel cassetto, già deve licenziare duecento persone in tre anni. E via altre famiglie che si ritroveranno senza uno stipendio dignitoso, nel silenzio della politica. E ora lo Stato. Di questo passo in Ticino non delocalizzerà solo Zalando, arriveranno anche le ditte cinesi, perché l’importante è risparmiare sulla manodopera.

Contrapporre costantemente il privato al pubblico, sostenendo che lo Stato non debba sottrarre persone all’economia privata, significa ledere le fondamenta della democrazia liberale. Anche per questo, sorprende e rattrista vedere una parte del mondo professionale che sostiene questa iniziativa. Coloro che per vocazione dovrebbero essere propositivi e avveduti, si accodano a proposte semplicistiche, che affossano ancora di più un’economia in grande difficoltà come la nostra, dove persino dei posti non particolarmente allettanti come quelli dello Stato sono considerati di valore. I bisogni e le eventuali eccedenze dei servizi pubblici vanno affrontati seriamente, valutati all’interno di una visione ampia e di lungo respiro. Ed è ora di averla! Tagliare i soli posti di lavoro che hanno il dovere di essere retribuiti con dignità è come tagliare il ramo su cui si è seduti, salvo poi lamentarsi che si sta con il deretano a terra. Come a dire, con la destra decurto gli stipendi, con la sinistra gli aiuti dello Stato. E sempre allegri bisogna stare!