Gli effetti di un mondo del lavoro che muta in fretta si sentono pure in Ticino. Le visioni di Pesenti (Aiti) e Carobbio (Decs) per non trovarsi spiazzati
Quel che si temeva, si è verificato. La Mubea fabbrica molle Sa cesserà la produzione il 31 marzo 2025, confermando i timori recenti (laRegione 28 agosto). “Una settantina le persone interessate”, ha scritto la ditta nella nota stampa dell’11 settembre; con i primi licenziamenti “effettivi entro fine anno”. Quello di Mubea, attiva da oltre 50 anni, è uno tra gli ultimi casi di aziende che, abbassando le serrande, impoveriscono il panorama lavorativo in Ticino anche in termini di offerta formativa per i giovani. Su preoccupazioni e prospettive della formazione professionale, abbiamo sentito Oliviero Pesenti (presidente Associazione industrie ticinesi) e Marina Carobbio (consigliera di Stato).
Oliviero Pesenti, dal vostro osservatorio vedete professioni nell’ambito industriale che in Ticino rischiano di scomparire entro dieci-venti anni?
È in atto una trasformazione globale epocale per le competenze necessarie alle aziende, che richiede un adeguamento delle capacità delle persone. Certe formazioni ‘classiche’ spariranno; mentre sarà necessario inserirne di nuove specialmente in ambito tecnico. Fare previsioni precise a lungo termine, è però abbastanza difficile.
Quali esempi può fare di formazioni destinate a essere meno richieste?
Quelle nella meccanica e nell’elettrotecnica, quelle di base nella dinamica: restano importanti, ma a livello industriale diminuiranno e col tempo è possibile che non ci saranno più. Sostituite da formazioni nell’elettronica, robotica, automazione industriale, intelligenza artificiale, digitalizzazione. In tutti i campi delle nuove tecnologie ai quali già oggi le aziende sono attente. Ci si sta spostando verso una formazione più tecnica e tecnologica e sempre meno amministrativa e commerciale; ambiti, quest’ultimi, su cui il sistema formativo ticinese è ancora fortemente basato.
Credo ci voglia una riflessione approfondita, per chiederci se non sia ora di spingere su formazioni più tecniche di cui le aziende avranno maggiormente bisogno e che faranno la differenza. A mio parere siamo in ritardo rispetto ad altri cantoni e nazioni. La formazione che parte dalla scuola dell’obbligo fino a quella professionale e accademica, deve soffermarsi su questa situazione per capire cosa fare, al fine di preparare i giovani alle nuove esigenze del mondo del lavoro che saranno diverse rispetto al passato e al presente. Un altro aspetto sul quale occorre intervenire sono le cosiddette competenze trasversali (saper lavorare in gruppo, migliorare la conoscenza delle lingue, seguire una formazione costante e continua), che oggi nella formazione scolastica di base non si insegnano.
Che competenze vorrebbe vedere introdotte nella scuola dell’obbligo?
Perché non insegnare nozioni di meccanica, informatica o elettronica già alle Elementari? Si farebbe capire ai giovani cos’è questo mondo che oggi non conoscono.
Quella della formazione è una questione complessa, le cui criticità non si affrontano né si risolvono dalla sera alla mattina. È però necessario chinarcisi, rispettando il percorso di ognuno. La formazione post obbligatoria deve iniziare fin dall’avvio della scuola dell’obbligo, come Aiti ha indicato nel documento di lavoro ‘Piano strategico Ticino 2032’. Come nella vita, più che correre è bene partire in anticipo. Occorre sedersi a un tavolo attorno al quale devono stare tutti gli attori, per far sì che scuola Elementare, Medie, sistema formativo professionale, parte accademica riflettano insieme sulle vie da imboccare e a tale scopo agiscano di concerto. Per questo, va riveduto dalle fondamenta il concetto della formazione: pur mantenendone saldi i principi di base, va superata la visione che c’è stata finora per dare ai giovani una preparazione adeguata. Che per noi non è il caso.
Dal vostro punto di vista una riflessione collettiva sulla formazione non è in atto?
No. C’è un barlume di tentativo nel voler capire; ma gli attori sono ‘fermi’ e difendono la situazione attuale. C’è una domanda che le istituzioni dovrebbero farsi: la formazione che stiamo dando ai giovani, pensando al loro futuro, è giusta o no? Non vedo nessuno porsela e sinceramente non so perché. C’è un concetto di formazione vecchio, da sempre ritenuto giusto (e fino a qualche tempo fa poteva esserlo): ritenerlo utile solo per aiutare i giovani a diventare cittadini responsabili. Il sistema lascia che siano poi altri a dare sufficiente competenza tecnica o le conoscenze professionali. Oggi e sempre più in futuro le competenze di base (saper leggere e scrivere, fare di conto) vanno invece abbinate alle necessarie competenze personali e a quelle tecniche che servono per fare un mestiere. Siamo concordi che la scuola debba anche occuparsi di formare i futuri cittadini ma, checché se ne dica, chi segue una formazione lo fa per trovare un impiego e, quando bussa sul mercato, deve mostrare di avere certe competenze. Queste sono le riflessioni che occorre porsi e che la scuola deve farsi. Non è una critica: è un appello accorato alle istituzioni affinché prendano di petto la questione, poiché è dalla scuola che nasce il futuro dei giovani e di tutta una società.
Quali sono le prospettive di ricambio per il mondo industriale ticinese?
È un aspetto che ci preoccupa: nel prossimo decennio migliaia di persone nel nostro settore lasceranno il lavoro per raggiunti limiti di età. Chi li sostituirà, sapendo che il sistema non riesce a formare un numero sufficiente di giovani nel ramo?
Lanciamo l’allarme da tempo, ma abbiamo la sensazione che la politica (cantonale e federale) si stia rendendo conto con ritardo del problema enorme che si creerà anche in Ticino. Dev’essere chiaro: senza persone, rischiano di sparire pure le attività economiche. La questione demografica non aiuta e una riflessione profonda dovrebbe comprendere l’analisi anche di come aiutare concretamente in generale le famiglie a fare più figli, e in particolare le donne a conciliare maternità e lavoro.
Fin qui ciò che potrebbe o dovrebbe fare lo Stato. Cosa può e deve fare il settore industriale per quel riorientamento della formazione che lei auspica?
Effettivamente dobbiamo cominciare in casa nostra. In primo luogo, facendo sì che imprenditori e aziende investano nella formazione continua interna. Fondamentale, per sopperire alla mancanza di manodopera, è far sì che le persone senza più le competenze necessarie possano essere ‘recuperate’, formandole e riqualificandole. In secondo luogo, incrementando le competenze digitali e quelle che vanno verso i settori scientifici, tecnologici, ingegneristici. Uno dei fronti su cui Aiti è attiva è far capire alle imprese l’importanza di formare dei giovani con un apprendistato duale (una delle forze imprescindibili del nostro settore). Perciò l’Associazione si sta mobilitando con le aziende, affinché comprendano l’importanza di aumentare gli sforzi volti a promuovere ancor di più gli apprendistati. Noi dobbiamo fare e faremo la nostra parte, ma non sarà sufficiente se le istituzioni non avvieranno una revisione della formazione di base che è un compito dello Stato. È un’azione che va condotta a braccetto tra i settori pubblico e privato.
C’è volontà da parte delle ditte nell’investire nella formazione che richiede denaro e tempo?
Da qui non si scappa e non ci si può permettere di guardare alla formazione come solo a un costo. Per un imprenditore costituisce un’opportunità indispensabile senza la quale si può trovare in difficoltà: se non compie il primo passo, aiutando la manodopera interna a crescere e riqualificarsi, rischia di ritrovarsi con una mancanza di personale. Un impresario, un’azienda sono i primi interessati a che la formazione sia di qualità e dunque anche ad ‘aprire il portafogli’. Ma non basta. Occorre intervenire, dove necessario, su burocrazia e norme che sovraintendono alla formazione e alla messa a disposizione di posti di apprendistato le quali in taluni casi possono venire ostacolate da certe regole.
Norme che, ricorda Marina Carobbio Guscetti, sono stabilite di concerto. La formazione professionale «non è definita dal Ticino»: è regolata a livello federale, in cooperazione con i Cantoni e in stretta collaborazione con le organizzazioni del mondo del lavoro. Queste, insieme alla Segreteria di Stato per la formazione, la ricerca e l’innovazione, «hanno un ruolo centrale per le indicazioni relative ai contenuti dei programmi». La formazione professionale – aggiunge la direttrice del Decs – fornisce «diverse opportunità ai giovani». Che inizino subito un lavoro o seguano una preparazione scolastica (maturità professionale, percorsi superiori fino al livello universitario), «un sistema assai permeabile consente loro di percorrere strade che, cammin facendo, possono cambiare molto».
Tra gli aspetti «importanti» della formazione di base, ci sono quelle competenze trasversali invocate dal presidente di Aiti e «dettate a livello federale. Un esempio è la riforma del commercio entrata in vigore nel 2023 (la prossima sarà quella legata al settore industriale e di Swissmem), che ha messo l’accento su queste competenze al punto che non si insegnano più le singole materie. Ciò ha scatenato una grande discussione: c’è chi si chiede se questo cambiamento non sia stato spinto all’eccesso; queste scelte sono tuttavia volute fortemente anche dalle organizzazioni del mondo del lavoro. Io credo fermamente che nella formazione duale di apprendistato e professionale occorra una solida base di cultura generale; sia per chi poi lavorerà, sia per chi proseguirà gli studi».
Per ciò che riguarda le scuole dell’obbligo, le competenze trasversali sono inserite nel relativo piano di studi. Anche in questo caso – ricorda Carobbio – c’è chi sostiene che si punti troppo su queste abilità a scapito delle materie. Elementari e Medie «devono promuovere lo sviluppo integrale della persona e formare giovani pronte e pronti per affrontare percorsi professionali o di studio, la società e le sfide future. Al contempo la scuola deve garantire a tutti pari opportunità educative, rivestendo un ruolo cruciale nell’inclusione sociale. Oltre che insegnare le singole materie, la scuola ha il compito di trasmettere i valori democratici che portano a essere cittadine e cittadini attivi e consapevoli. Non credo che si debba andare nella direzione dell’insegnamento di materie tecniche già dalle Elementari, tralasciando magari aspetti di conoscenza e di sviluppo generale».
Siamo poi sicuri – si chiede la consigliera di Stato – che i datori di lavoro preferiscano assumere giovani già in possesso delle competenze specifiche che imparerebbero comunque sul posto di lavoro durante la formazione, piuttosto che giovani in grado di affrontare le sfide della società? Abilità tecniche e professionali si possono apprendere grazie a una «formazione professionale la cui immagine va rafforzata, affinché sempre più giovani imbocchino questa via. È uno dei temi che ho portato avanti con più convinzione dall’inizio del mio mandato, incontrando i vari attori del settore (incluso il presidente di Aiti) proprio perché credo nella riflessione collettiva».
I cambiamenti in atto nel mondo del lavoro, l’invecchiamento della popolazione e una mancanza di manodopera in certi settori sono «chiari». A giugno 2023 con Aiti, organizzazioni e associazioni del mondo del lavoro «abbiamo discusso di questi temi». La prospettata mancanza di manodopera in taluni settori, «è legata a doppio filo all’invecchiamento della popolazione. Tra le misure che si dovrebbero adottare, una è quella di garantire alle persone che vivono in Ticino o in Svizzera, arrivate da altri Paesi, l’opportunità di formarsi».
E sì, ancora parecchi giovani scelgono un apprendistato nei settori amministrativi, del commercio «e anche socio-sanitario. Vanno allora mostrate il più possibile le opportunità esistenti affinché i giovani e le giovani possano prendere una decisione consapevole e libera da stereotipi». Già oggi, comunque, non mancano le scelte in ambiti innovativi nei quali, per quanto possibile (i Cantoni non possono decidere autonomamente), proponiamo formazioni nuove. Pensiamo ai settori di riconversione energetica, chimica, chimica farmaceutica, comunicazione alberghiera. C’è inoltre un ritorno dell’interesse da parte di giovani per mestieri legati all’artigianato (orafo, falegname, ramo dell’abbigliamento) in versione ‘rivisitata’, che fa vivere in ottica sostenibile anche queste professioni».