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I nodi vengono al pettine

(Ti-Press)

È di qualche mese fa la notizia di una grave aggressione perpetrata da un malato presso la Clinica psichiatrica cantonale (Cpc) di Mendrisio. Secondo la perizia, al momento dei fatti l’imputato è risultato essere incapace di intendere e volere; la Corte ha quindi ordinato un trattamento stazionario. Il problema è: chi la vuole gestire una persona con un “disturbo di personalità misto, impulsivo e narcisistico e disturbi psichici e comportamentali dovuti all’uso di alcol” che ha già tentato di strangolare la sua infermiera? Siccome in Ticino mancano le strutture adeguate l’autorità cura i malati in carcere. Per la cronaca, all’inizio di luglio, il condannato in questione è morto suicida alla Stampa. Chissà se in una struttura appropriata sarebbe successo lo stesso. Una struttura dove troverebbero posto i malati violenti. Quelli che oggi stanno alla Cpc da dove, in caso di passaggio a un atto grave, finiscono in carcere.

Fatto sta che in Ticino ci ritroviamo con interi reparti del manicomio trasformati in galera e piani di galera diventati manicomio. In mezzo, a prendere botte, infermieri e agenti di custodia.

Il penitenziario è pieno; il numero degli agenti di custodia svizzeri (così li vuole il ministro) è insufficiente; i concorsi per trovare personale non raggiungono gli obiettivi sperati. Il problema dell’incapacitazione penale si pone in tutto il suo splendore. La politica, con i tempi geologici che la caratterizzano, sta cominciando a rendersi conto che non serve a nulla avere delle leggi se non si è poi in grado di applicarle. Quando in polizia c’è il personal trainer e la procura non può disporre di un segretario aggiunto perché “a manca i danee”, anche i peones si rendono conto che c’è qualcosa che non quadra.

Con la fucilazione popolare della Cittadella, e il cambio ai vertici della commissione Giustizia, i nodi del gobbismo stanno venendo al pettine. Ne esce un terzo potere dello Stato bistrattato, forse pure sbeffeggiato, dal primo potere.

Norman Gobbi ama la polizia ed è un suo diritto. Forse è per questo che ha nominato un comandante a sua immagine e somiglianza. Uno che confonde il primo potere dello Stato con il terzo e pare non aver capito che lui lavora per la magistratura e non per il ministro. E quando il pg ha cercato di farglielo capire, lui, il Comandante, ha avuto l’ardire di consegnare il materiale richiesto dopo averlo sigillato. Sigilli che sono poi stati fatti togliere dal giudice dei provvedimenti coercitivi, che ha fatto notare che gli argomenti avanzati dal comandante Cocchi erano pretestuosi. Ma non solo. Ares Bernasconi, il giudice, ha sottolineato che dagli atti istruttori dell’ex Macello ci sono indizi di reato da approfondire; indizi che dovrebbero portare a indagare municipali della città di Lugano, ufficiali della polizia cantonale e comunale. Va precisato che nessuno è stato condannato ed è lecito immaginare che, come da tradizione, tutto finirà in un non luogo a procedere. Ma questa incombenza spetta al procuratore generale Andrea Pagani, non al comandante della polizia.

In estrema sintesi, non si capisce se Cocchi abbia agito per ignoranza o, considerando che il Ticino è il Paese del rumore misterioso, per altri motivi.

Gobbi ama la polizia, e questo è un suo diritto dicevamo. Il problema è che come direttore d’orchestra, il consigliere di Stato pare aver trascurato il resto degli strumenti. Oggi magistratura e carcere sono pericolosamente in affanno. In oltre 13 anni, il pifferaio magico e la sua banda, per adempiere al proprio mandato, hanno utilizzato strategie prevalentemente a senso unico e dal costo esorbitante. Uno scellerato spreco di denaro pubblico per dei risultati (prevedibili) che oggi sono lì da vedere: l’esatto contrario di quello che il cittadino potrebbe legittimamente aspettarsi. Ne emerge che le risorse per affrontare efficacemente il vasto e complesso problema dell’ordine sociale, con la strategia dettata dalle busecche del ministro Norman Gobbi, non ci sono. Quella prevalentemente repressiva è una strategia economicamente insostenibile in una democrazia. Certo! Ci fosse l’esercito, sarebbe un’altra cosa. Ma (ancora) non c’è.

Impossibile stabilire quanto costerà aggiustare il problema del palazzo di Giustizia con annessi e connessi. Tanto o poco – sia detto per inciso – dipenderà anche dalle mire della politica e dei suoi rappresentanti, mica tutti disinteressati.

È possibile immaginare in quale pantano sguazzi la politica carceraria cantonale considerando che, forse entro la fine dell’anno, alla Stampa si inaugurerà la sezione femminile. Aspettando, per lustri, i bambini delle condannate ticinesi han dovuto sorbirsi ore di treno per poter abbracciare la mamma. È improbabile che ai malati violenti sarà riservata una miglior sorte. E neppure agli infermieri e agli agenti di custodia.

“Squadra che vince non si cambia”, ma cosa si fa con una squadra che in quasi tre lustri ha mostrato la propria inadeguatezza in tutto il suo splendore? La risposta spetta al Consiglio di Stato.