In una sua posizione pubblicata su questo giornale, la sindacalista Ocst Davina Fitas debutta nel suo argomentario affermando – libera da qualsiasi legame con fatti e cifre – che la riforma Lpp su cui saremo chiamati a votare in settembre, penalizzerebbe le donne.
È clamoroso. Sì, perché l’attuale legge Lpp, che in sostanza regola le nostre rendite di cassa pensione, mette in difficoltà molte donne e in generale chi ha un basso salario. Infatti, per poter versare i contributi previdenziali (come dipendente e come datore di lavoro) al cosiddetto secondo pilastro, un lavoratore deve percepire un salario annuo superiore ad un importo minimo che al momento è sopra i 22’000 franchi. Il salario assicurato dalla cassa pensione viene poi ridotto da una cosiddetta “quota di coordinamento”, che oggi può raggiungere anche i 25’000 franchi. Senza entrare troppo nel tecnico un problema appare però subito evidente: chi lavora a tempo parziale, percepisce un salario basso o molto basso oppure svolge più lavori contemporaneamente resta spesso all’asciutto senza una cassa pensione. Viene a mancare quel secondo pilastro che permette di mantenere un certo tenore di vita una volta terminata l’attività lavorativa. E chi è tra le categorie più penalizzate? Proprio noi donne perché, per conciliare lavoro e famiglia, svolgiamo più spesso degli uomini delle occupazioni a tempo parziale.
Per modernizzare la legge risalente agli anni 80, la riforma propone una serie di misure tra le altre cose per tenere conto dell’aumento della speranza di vita. Ma tra i suoi punti centrali che hanno indotto varie associazioni femminili a sostenere la riforma, vi è la riduzione della soglia minima di entrata (che sarebbe sotto i 20’000 franchi) e la limitazione di questa “quota di coordinamento” al 20% del salario: variabile anziché fissa. Concretamente, un salario annuale di 40’000 franchi lordi verrà assicurato in futuro per 32’000 franchi (oggi invece per meno della metà a 14’275 franchi). Chi dispone di un reddito annuale modesto vedrà aumentare nettamente il proprio salario assicurato alla cassa pensione. Il datore di lavoro verserà almeno altrettanti contributi Lpp sul conto di risparmio.
Affermare che noi donne siamo tra le categorie perdenti della riforma è semplicemente falso. Proprio per chi lavora a tempo parziale opporsi alla modifica alla revisione della Lpp sarebbe un autogol clamoroso. È la situazione attuale – che gli stessi sindacati spesso denunciano – che porta molte donne a dipendere dalle prestazioni complementari poiché non dispongono di un salario assicurato alla cassa pensione durante gli anni di attività. Aumentando la parte di salario assicurata tutto può succedere, tranne che le rendite future delle donne diminuiscano.