Leggendo l’intervista che l’ex vicepresidente del Partito socialista Adriano Venuti ha rilasciato al quotidiano ‘LaRegione’ il 17 maggio, nell’imminenza del Congresso del suo partito (8 giugno), mi chiedo se davvero si voglia “rilanciare il dibattito sul presente e ‘soprattutto’ sul futuro del partito”. In un tempo come il nostro, in cui la forma partito inteso come motore della democrazia è in crisi, mentre si esaltano i partiti personali e la “politica dell’io”, sarebbe urgente, almeno nel campo della sinistra, riflettere sulle molte cose che uniscono piuttosto che bisticciare su ciò che divide. Un compito apparentemente facile, persino banale, ma non per la Sinistra. L’ultimo esempio ci viene dall’area sindacale, dove il “nemico” non è il padrone, ma l’altra sigla sindacale, rea di fare dei distinguo, di non essere partecipe pur condividendo gli obiettivi. Intanto gli altri, i partiti che si collocano dall’altra parte, dal centro verso destra, continuano a ridersela e a governare. L’ultimo esempio ci viene dalle elezioni comunali di Lugano, con appelli pubblici (anche da esponenti di spicco del Plrt) a votare il sindaco uscente leghista Foletti e non il suo alleato udc Chiesa, e ciò per evitare grandi imbarazzi (ovviamente a destra) e affinché tutto... quadri.
Tornando all’intervista suddetta, Venuti ha ragione da vendere quando afferma che “il progetto rossoverde non si sa più cosa sia”; quando dichiara che occorre arrivare ai prossimi appuntamenti elettorali “con obiettivi e strategie chiari”. Bene, giusto. Peccato però che accanto a queste preoccupazioni, che condivido, l’ex vicepresidente chieda al Congresso con una mozione di votare sulla nomina della presidenza del Ps cantonale, “anche in caso di un’unica candidatura”; e se il Congresso dovesse accettare la sua proposta, allora “la votazione avvenga a scrutinio segreto”. Che dire? C’è della malizia? Dall’alto verso il basso: dalla preoccupazione, giustissima, di vedere finalmente rimesso in piedi affinché possa camminare sulle proprie gambe il progetto rossoverde a quella (forse maliziosa) di mettere sotto voto, anche in caso di unica candidatura, la nomina del presidente e per di più a scrutinio segreto. “E vedere [non] di nascosto l’effetto che fa”.
Peccato davvero che non si riesca a uscire da questo pantano, a camminare con la testa alta per cercare di scrutare orizzonti lontani e più larghi dei cortili di casa nostra.
E poi, diciamolo: fare il presidente di un partito, almeno qui da noi, nel piccolo Ticino, è un compito per nulla facile, molto più difficile che fare il consigliere di Stato. La coda dei pretendenti, infatti, non è lunga: c’è posto. Venghino, signori, venghino.