Certo, una minaccia colpisce anzitutto chi la subisce, ma quella a un uomo politico concerne ognuno. Indipendentemente da chi è preso di mira, a essere intimidita è infatti la libertà di tutti coloro che svolgono un’attività pubblica: chi non coglie questo rischio vede l’albero ma non la foresta.
Oltre a condannare senza riserve l’accaduto è doveroso chiederci se l’episodio non sia in qualche modo anche figlio, degenere finché si vuole ma tale, della nostra storia recente. Da decenni, infatti, il dibattito pubblico è troppo spesso verbalmente violento. Offese, insinuazioni, dileggi, illazioni e derisioni sono ormai diventati una parte non marginale della vita pubblica, usati da più parti senza ritegno e, perlopiù, senza reazione. Come non cogliere, peraltro, il legame tra l’incattivimento del linguaggio e la sommarietà delle analisi e delle proposte in circolazione: se non si rispetta la dignità delle persone difficilmente si ha riguardo per la complessità dei problemi. Chi ha qualche occasione di essere a contatto con vittime di questa deriva, vede, credo, il divario tra il danno provocato e la sanzione che, quando va bene, attende il o la responsabile. Il nostro codice penale non reprime come dovrebbe i reati contro l’onore e il noto intasamento della giustizia penale fa il resto. Qualche anno fa ho dedicato al tema un articolo su una rivista giuridica, chiedendo di riflettere sulla dimensione odierna di questi illeciti e su un aggravamento delle pene previste. Si dice spesso che le parole sono pietre ma, in realtà, chi le usa per lapidare ha oggi troppo spazio di azione. Alcuni pensano che, così, si difenda la libertà di espressione, senza vedere che libertà da tutelare è anche quella di poter parlare senza essere svillaneggiati e, in tal modo, ridotti al silenzio. Ne sanno qualcosa specialmente le donne, gli stranieri e, in generale, chi contesta uno dei tanti dogmatismi in circolazione. Tant’è, la violenza verbale è ormai parte del nostro paesaggio, con chi la subisce a fare la figura del testardo ipersensibile e chi protesta del seccatore moralista. Chi però vittima è stato, o vittime ha conosciuto, sa benissimo che non è così, che le sofferenze sono vere e le conseguenze spesso drammatiche. Quanto è profondo lo sconforto di chi si sente bersaglio indifeso? Che effetto ha sulle sue relazioni personali? Quali i danni che ne derivano e chi mai li ripaga? È un’evoluzione che va ben oltre la vita politica, sconfinando in quella professionale, sociale e privata, tanto che alcuni pensatori considerano il “risentimento” e la “collera” fra i tratti distintivi del nostro tempo. Il tutto è alimentato da strumenti comunicativi di inimmaginabile potenza, basti pensare alle reti sociali.
Ma c’entra qualcosa questo con le minacce al presidente del Centro? Credo purtroppo di sì. Non si tratta, ovviamente, di sostenere una relazione di causa-effetto, quanto piuttosto di comprendere che un certo contesto favorisce il passaggio all’atto e, al contempo, frena una reazione collettiva. Una relazione, per fare un esempio, simile a quella esistente tra il tollerare (anzi, premiare) i comportamenti spericolati e un singolo incidente mortale. Vale la pena ragionarci perché, mai come su questi temi, è il caso di dire che chi tace acconsente.