Quattro anni fa di questi tempi eravamo chiusi in casa. Iniziò un periodo difficile per tutti, molto doloroso per alcuni. C’è chi allora perse una persona cara, chi ha rischiato di morire, chi ha sofferto lontano dai suoi familiari, chi ha dovuto seppellire nonni e genitori senza poterli salutare. Tutti abbiamo imparato a conoscere l’espressione “a distanza”. Anche i bambini che andavano a scuola. Pure loro hanno dovuto confrontarsi con le lezioni a distanza. È bastato un microscopico virus a mettere in luce la fragilità, spesso dimenticata, del nostro modello di economia. Allora, si diceva, sapremo trarre sicuramente un insegnamento dalla pandemia. L’esperienza del confinamento ci ha dato l’opportunità di comprendere meglio l’esistenza di coloro che lo subiscono nella povertà e nell’ingiustizia. Per un momento le costrizioni della pandemia hanno obbligato tutti a riflettere sul proprio stile di vita e sui veri bisogni. Un’esperienza così tragica non poteva non lasciare una traccia di cambiamento. E allora?
Come se niente fosse, ovvero con la massima facilità e leggerezza, siamo tornati quelli di prima. Già ci siamo scordati il piacere per i bisogni della collettività, gli slanci di solidarietà a favore degli anziani o dei vicini. Verso chi aveva bisogno di aiuto. Avevamo finalmente riscoperto l’importanza della relazione con l’altro, necessità fondamentale in tutte le tappe dello sviluppo umano: da prima della nascita fino all’anzianità. La mancanza era difficile da accettare. I giovani ne hanno forse risentito più di tutti. Avevamo fatto l’esperienza di spostarci anche a piedi o in bicicletta. Riscoperto le vacanze a chilometri ridotti, con un occhio, dunque, alla riduzione delle emissioni inquinanti. Edgar Morin ha provato a indicare la via, pubblicando un bellissimo libro dal titolo “Cambiamo strada”. Si percepiva un’aria nuova. Voglia di fare per rendere questo mondo migliore di quello che è. Una certa brama di partecipare, lasciarsi coinvolgere, perché tutto quello che succede sul nostro pianeta ci riguarda.
Come se niente fosse, quest’aria si è dispersa. Tutto è ritornato come prima. Anzi. Tutto è solo peggiorato. Guerre tremende, massacri. Secondo le notizie di questi giorni, la guerra a Gaza ha ucciso finora oltre 13’000 bambini e ne ha feriti molti di più. Neanche riusciamo a immaginarla questa immane tragedia. In Ticino ora è tempo di elezioni comunali. Manifesti con slogan, proclami e buone intenzioni (a volte almeno quelle ci sono) costellano il territorio cantonale. Dappertutto messaggi sbrigativi e asciutti per agganciare il richiamo dei votanti. L’impressione che si ricava leggendoli è che non siamo connessi con il mondo, con le tragedie a cui assistiamo tutti i giorni. Viviamo ripiegati sulla nostra piccola realtà, convinti che gli scoppi delle bombe che cadono qua e là e le ingiustizie che riguardano milioni di persone nel mondo non ci interessino.
Come se niente fosse, evitiamo le questioni spinose: troppo complesse, non ci si può fare nulla, già siamo aggravati dall’arrivo di troppi immigrati. Non sono d’accordo. I cambiamenti si sviluppano anche, se non soprattutto, grazie alla presa di coscienza dei cittadini dei problemi vitali in gioco e della loro disponibilità a modificare i modi di pensare e d’interagire con gli altri esseri umani e la natura tutt’intera. Di questo i politici dovrebbero occuparsi! Per fortuna alcuni si assumono costantemente l’impegno di promuovere politiche comunali volte a sviluppare comunità più eque, solidali e sostenibili. Qui e altrove. Ma esiste anche chi, ahimè, ha poca dimestichezza con la disciplina e l’onore (per dirla con Anna Falcone, giurista italiana) che le cariche pubbliche richiederebbero. Più occupati a conservare il proprio cadreghino, mirano piuttosto a fidelizzare la popolazione (ritenuta ingiustamente incapace d’intendere e di volere) sviando l’attenzione dai veri problemi.
Ecco, forse è proprio questa incapacità ad affrontare la complessità del nostro tempo e le relative sfide esistenziali, che ha portato molte cittadine e molti cittadini a non riconoscersi più in questa politica e a non votare. E allora la democrazia è in pericolo. Ricordiamocelo in questi giorni.