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Ofima/Ofible: noi e i padroni

Il sussidio di 1,53 mio di franchi richiesto da Ofima/Ofible al Cantone per il risanamento dello stabile amministrativo di Locarno, classificato quale bene culturale, ha aperto una questione di fondamentale importanza. Bruno Storni, nel suo articolo di fondo su questo quotidiano del 22 febbraio 2024 lo ha messo in relazione alla storia e in particolare agli impressionanti introiti (miliardari) che queste aziende hanno ricavato e stanno tuttora ricavando dallo sfruttamento delle nostre acque, perlopiù destinati alla Svizzera interna. Fiorenzo Dadò, nella sua brillante risposta del giorno successivo, ricorda appunto a Storni chi ne sono i padroni, e chi, politicamente, è alla testa delle città confederate che ne traggono maggior vantaggio.

Questa tematica non deve però esaurirsi nella solita polemica di politique politicienne. Dalla perequazione finanziaria federale il Ticino riceverà nel 2024 86,8 milioni di franchi, a fronte di 234,78 milioni che riceverà il Cantone dei Grigioni e a quasi un miliardo che verrà versato al Canton Berna. La tematica sollevata da Storni e Dadò centra perfettamente il tema della redistribuzione di risorse tra le diverse realtà del nostro Paese.

Personalmente non nutro alcuna antipatia per le ditte succitate, anzi! A rigor di logica, se dall’analisi del Gran Consiglio dovesse risultare la base legale che prevede la possibilità di richiedere, anche in questo caso, un sussidio nell’ambito della ristrutturazione di un bene culturale non escluderei l’entrata nel merito. Ma, trattandosi di un chiaro gesto di volontà politica, questa volta il Parlamento cantonale ha l’occasione di far valere tutto il suo peso mettendo sul piatto una più significativa contropartita soprattutto a vantaggio delle regioni periferiche che ospitano gli impianti di produzione elettrica.

Il prestigio di queste aziende non va percepito unicamente come intimidatorio. Potrebbe invece manifestarsi concretamente come attaccamento verso un territorio da cui hanno potuto attingere a piene mani. Altrimenti vorrebbe dire che certuni preferiscono lo spopolamento definitivo, per ottenere piena libertà d’azione. Affermazioni provocatorie? Non credo. L’analisi demografica commissionata dall’Ers Locarnese e Vallemaggia su stimolo delle nostre Antenne da questo profilo non lascia dubbi. A brevissimo nelle zone più discoste siamo prossimi alla morte definitiva, al punto di non ritorno. Questo dovrebbe essere un tema prioritario anche per la politica cantonale. Si pensi soltanto ai tagli fatali avvenuti nell’ambito del trasporto pubblico per le regioni più discoste, già in grave difficoltà. Tagli giunti, paradossalmente, in un momento di forte incremento del trasporto pubblico e anche del suo utilizzo nelle regioni urbane e periurbane. Dov’è finita la solidarietà territoriale che ha costruito questo Paese?

Quali potrebbero essere le contropartite? Ad esempio, compensi regolari ai Comuni o alle Comunità di Valle che ospitano queste infrastrutture. Ciò, oltre naturalmente ai canoni d’acqua attuali che purtroppo non garantiscono alcuna maggiore autonomia locale in termini di forza finanziaria.

Si assiste spesso a reazioni sconsolate di fronte a tali richieste. Ma si volga lo sguardo ai nostri vicini, certo più intraprendenti in merito. Nel cantone dei Grigioni il Comune di Savognin ha appena bocciato un progetto di parco solare sul suo territorio malgrado l’offerta di un contributo ricorrente di 600’000 franchi annui che sarebbero stati versati dall’azienda produttrice interessata. Il fatto è che in quel caso l’offerta era almeno sul tavolo. Nel caso dell’innalzamento della diga del Sambuco per la Vallemaggia non si è nemmeno pensato alla formulazione di un’offerta. Da qui bisogna ripartire, senza soggezione.