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Una casa per la giustizia ticinese

È passato quasi un ventennio da quando in questo cantone si è cominciato a prendere coscienza sulla necessità, già allora evidente, della situazione logistica critica della magistratura, ed in particolare del comparto più rilevante da sempre presente sul territorio della città di Lugano. Una presenza storica, lungimirante eredità dello sviluppo di questo cantone, che sin dai suoi albori si è fondata sullo storico asse: Bellinzona capitale, Locarno magistrale, e appunto, la magistratura sulle rive del Ceresio. Scelta di politica e sviluppo territoriale armonioso mai messa in discussione nella storia di questo cantone respingendo anche qualche appetito regionalistico, sempre gestito però con saggezza, sull’altare del pragmatismo e della logica operativa. Logica regionalistica che ancora oggi, in modo strisciante, ahinoi, sembra anacronisticamente aleggiare quale spiffero da retrobottega di partito. Sta di fatto che oggi, con colpevole ritardo accumulato negli anni non senza una buona dose di superficialità politica, ci ritroviamo a fare i conti con il “non fatto”, a fronte di una situazione logistica del Palazzo di giustizia ormai non più sostenibile. La casa della magistratura, istituzione costitutiva dei valori democratici e del corretto funzionamento del sistema Paese per uno Stato di diritto, cade a pezzi. Sì, perché che se ne dica, al di là di una magistratura che nonostante le condizioni sempre meno adeguate continua a restare di qualità, il “contenitore”, lo spazio dedicato a questa importante istituzione, non può essere messo in secondo piano o con disarmante superficialità, associato alla voce irrilevante o di importanza minore. Per ogni istituzione, infatti, ed a maggior ragione per la giustizia, valore, riconoscimento e rispetto sociale, da sempre passano, anche, dal contesto qualitativo in cui essa viene messa nelle condizioni di operare. Il contenitore conta, eccome se conta, perché traduce il peso ed il valore che lo Stato e i suoi cittadini le affidano. Ora eccoci alla resa dei conti, il nostro parlamento tra qualche mese sarà messo nelle condizioni di porre le basi della tanto attesa soluzione, che a fronte di decantati “piani B” inesistenti, passa esclusivamente dall’approvazione del credito per l’acquisto dello stabile Efg (ex Banca del Gottardo) quale prima tappa di un processo di risanamento complessivo che verrà a compimento, è bene ricordarlo, non prima del 2032.

Un passo senza il quale l’intero processo di risanamento del Palazzo di giustizia, verrebbe a cadere. Una decisione che, come se non bastasse, è anche “minacciata” dal referendum obbligatorio per investimenti superiori ai 30 milioni di franchi voluto dal parlamento, che potrebbe portare il tema, in assenza di una solida convergenza politica, in votazione popolare.

Insomma, una strada tutta in salita dove la fondamentale distinzione tra il concetto d’investimento e di spesa dovrà dar prova di essere finalmente compreso, con onestà intellettuale, dalla politica in primis e dal Paese tutto. Senza dimenticare le non trascurabili ricadute economiche su più anni correlate a questa scelta operativa alle quali la nostra economia non può restare indifferente.

Attenzione quindi a non scherzare con il fuoco, perché per la magistratura e la sua dignità operativa, siamo ormai quasi fuori tempo massimo. Non accettare il disegno che nell’acquisto dello stabile Efg ha la sua chiave di volta, significherebbe dare un preoccupante segnale di sfiducia alle istituzioni fondanti ed al Cantone intero, rimandando irresponsabilmente il tutto sine die. Senza il coraggio delle idee, senza soluzioni alternative, e, di fatto, minando profondamente il valore della giustizia ticinese e il suo corretto funzionamento futuro.