La Giustizia ticinese versa in una situazione alquanto critica; non da ieri. La sua immagine ne soffre. La palpabile esitazione su quale debba essere, fra i tre, il potere dello Stato ad assumere la regia per uscire, in tempi ragionevoli, dallo stallo favorisce confusione e sovrapposizioni, che mai producono soluzioni soddisfacenti. Da tempo e con altalenante incisività, esecutivo, legislativo e giudiziario avanzano proposte, con frammentate iniziative e soluzioni perlopiù parziali verso alcuni correttivi: tutti titolati a farlo essendo le problematiche di tale portata da suscitare il loro intervento, indipendentemente dalla responsabilità originaria che ognuno fra loro ha per il loro acuirsi.
Il risultato della sovrapposizione produce, tuttavia, indecisione che a sua volta rischia di distogliere dal vero obiettivo: promuovere e concretizzare, nell’interesse collettivo, una riforma strutturale per l’ammodernamento complessivo di una Giustizia alle prese, da tempo, con grandi sfide per i mutamenti importanti nella società e nel diritto e che è pure confrontata con una tecnologia che avanza senza aspettare nessuno, oltreché con l’ovvio imperativo d’efficienza.
Per il contesto, è scorretto puntare il dito solo contro il governo e il suo Dipartimento delle istituzioni. È certo che per le ultime desolanti rappresentazioni offerte al popolo ticinese (elezione di due procuratori pubblici a marzo 2024, per rimanere all’ultima), con verosimili ripercussioni negative anche sull’andamento di taluni suoi settori, il Dipartimento non porta nessuna responsabilità. D’altra parte, sarebbe errato alzarlo verso il legislativo o la sua Commissione giustizia. Per loro essenza e ruolo, né l’uno né l’altra sono deputati a un tale esercizio, dovendo peraltro quest’ultima sottostare, per i suoi lavori, ai ritmi e ai tempi dell’altro potere. Lo sarebbe anche puntarlo solo verso la magistratura nel suo complesso. Autrice non colpevole per non sapere (questo è il primo sintomo per una diagnosi, tuttavia, più articolata) garantire normali tempi di giustizia anche a causa dell’oggettiva e cronica sottodotazione in termini di risorse, non può certo subire né scontare condanna nemmeno per le recenti sbroccate di singoli suoi componenti, il cui danno, che ne deriva alla collettività, è causato più che altro dall’eco delle superflue discussioni indotte nell’aula del secondo potere.
Per uscire dallo stallo si potrebbe pensare di affidare le redini, anche della riforma, al Consiglio della magistratura il quale, grazie a chi oggi lo compone, senza clamore sta dando prova di equilibrio e di autorevolezza verso l’assunzione dei compiti e delle prerogative che la legge già fissa e gli garantisce in ambito disciplinare e di sorveglianza. A due condizioni: professionalizzarlo, perlomeno nelle sue componenti apicali e operative; ampliarne e vieppiù adeguarne i compiti verso un suo ruolo più centrale.