I dibattiti

Nella democrazia bisogna crederci

(Ti-Press)

Nel suo editoriale di sabato scorso Jacopo Scarinci, analizzando il comportamento dei Partiti dopo le elezioni di febbraio, mette in cattiva luce il solo Ps, dove la confusione regnerebbe sovrana a causa della battaglia che il capogruppo Ivo Durisch sta conducendo per ottenere una equa ripartizione dei seggi nelle Commissioni. Non entro qui nel merito sul calcolo del quoziente per una ripartizione “proporzionale” dei seggi come richiesto dall’articolo di legge. È un problema di matematica (più che di aritmetica) che lascio agli esperti limitandomi a sottolineare come arrotondare al numero intero superiore il quoziente per la ripartizione dei seggi in Gran Consiglio portandolo da 196.237,267 a 196.238 (queste sono le cifre reali) ha un’influenza prossima a zero sulla proporzionalità, mentre portare il quoziente per le commissioni da 5,2 a 6 con un aumento di oltre il 13% è tutt’altra cosa. In questo secondo caso la proporzionalità in Gran Consiglio sancita dalla Costituzione cantonale viene stravolta. La legge evidentemente si contraddice là dove afferma che “i seggi sono ripartiti proporzionalmente tra i gruppi” e subito dopo chiede che questo avvenga “nel medesimo modo in cui sono ripartiti i seggi in Gran Consiglio” (quindi arrotondando la cifra all’unità superiore) perché in quel caso non c’è più la proporzionalità. Fosse questa la volontà del legislatore non ci troveremmo di fronte al dilemma “dura lex sed lex” come qualcuno ha suggerito, bensì al dilemma “stulta lex, sed lex”.

Chi non pratica per professione la matematica probabilmente avrà capito ben poco di quanto esposto fin qui ed è proprio questo che rende la battaglia di Durisch difficile e ingrata. Tuttavia, lottare per ottenere la giusta proporzione di seggi nelle Commissioni alla deputazione del proprio partito riveste una grande importanza. Infatti, per un membro del Gran Consiglio, fondamentale per riuscire a svolgere un lavoro utile per la comunità è ciò che può imparare lavorando in una o più commissioni. Specialmente se nuovo e giovane.

Solo nelle Commissioni, che lavorano lontane dalle luci della ribalta, il confronto tra deputati è dialettico per cui riesci a discutere e capire le eventuali ragioni dei colleghi diverse dalle tue. Puoi porre delle domande, fare dei confronti, portare dei dati, sentire le ragioni e i dati altrui, aumentare la tua conoscenza dei problemi da risolvere. Hai contatti con l’Amministrazione alla quale pure puoi porre delle domande, fare capo a esperti, puoi sentire, porre domande e discutere con i membri del Consiglio di Stato. Insomma, se vuoi essere utile al Paese è nelle Commissioni che devi farti le ossa. Se posso fare un paragone con la mia professione di ingegnere direi che essere fuori dalle Commissioni è come un ingegnere che si limita a fare calcoli nel suo studio, ma non va mai in cantiere dove ha la possibilità di incontrare chi materialmente deve realizzare i suoi progetti.
Il Ps ha fortemente rinnovato la sua deputazione in Gran Consiglio dove sette deputati su dodici sono nuovi e sono giovani. Che il capogruppo si preoccupi di garantire in particolare a questi giovani una equa, quindi proporzionale, presenza nelle Commissioni in modo da permettere loro di acquisire le conoscenze necessarie per affrontare in modo serio, non demagogico, non populista (che è diverso da non ideologico) i “bisogni della popolazione” dando loro risposte possibili, quindi concrete, è una conferma della serietà del nostro capogruppo. Perché quelle, a differenza di quello che sembra pensare Scarinci, non sono “poltrone”, ma, per chi prende sul serio la politica e la democrazia, sono luoghi di lavoro fondamentali se si vuol contribuire a rendere migliore questo Cantone. Ma, evidentemente, (nella democrazia) bisogna crederci.